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«Il silenzio di latte» (2021) di Iva Lulashi

Cortesia dell’artista, Collezione Conte. Foto cortesia di Ludovica Mangini

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«Il silenzio di latte» (2021) di Iva Lulashi

Cortesia dell’artista, Collezione Conte. Foto cortesia di Ludovica Mangini

BIENNALE ARTE 2024 | Nel Padiglione dell'Albania l'amore è come un bicchiere d'acqua

Nata a Tirana, ma da anni in Italia, la pittrice Iva Lulashi sviluppa nella mostra curata da Antonio Grulli un progetto ispirato alle teorie della rivoluzionaria pensatrice femminista russa Alexandra Kollontai

Graziella Melania Geraci

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Uno spazio intimo aperto al pubblico per indagare i confini e la censura dell’erotismo e della sessualità, complesse rappresentazioni che nel Padiglione albanese della Biennale di Venezia diventano naturali come bere un bicchiere d’acqua. «Love as a Glass of Water» è il titolo del progetto, a cura di Antonio Grulli, dell’artista rappresentante dell’Albania, Iva Lulashi (Tirana, 1988), che ha sviluppato il proprio lavoro partendo dalla «teoria del bicchiere d’acqua» della pensatrice femminista Alexandra Kollontai (San Pietroburgo, 1872- Mosca, 1952).Tale pensiero rivoluzionario vedeva gli impulsi come una semplice necessità umana che deve essere soddisfatta con la leggerezza e spensieratezza con cui siamo soliti bere un bicchiere d’acqua. Ne parlano con «Il Giornale dell’Arte» Antonio Grulli e Iva Lulashi.

Com’è nata l’idea del progetto per il Padiglione albanese?
Antonio Grulli: Negli ultimi anni alla Biennale, soprattutto all’interno dell’Arsenale, si è più soliti vedere grandi installazioni piuttosto che un tipo di pittura come quella di Iva. Per me è stata una sfida molto interessante perché io mi sono sempre occupato di pittura soprattutto figurativa e avevo già lavorato con lei, la Biennale è un po' il coronamento della nostra collaborazione. Il lavoro di Iva è così intimo che era necessario fornire delle risposte pensate appositamente affinché i lavori potessero venire fuori al meglio. Anche la struttura del padiglione volevo che fosse una specie di manifesto di come anche io vedo la pittura e di come penso debba essere mostrata. La cosa di cui ero più sicuro era di non voler creare un allestimento troppo teatrale, troppo scenografico, volevo che i lavori fossero presentati nella loro semplicità per ribadirne la forza e la qualità. Al tempo stesso volevamo un tipo di padiglione che rispondesse ai contenuti della ricerca di Iva che è fatta di desiderio di sensualità, di cose molto personali che si portano dietro anche paure e tutta una serie di lati oscuri. Ne abbiamo discusso insieme e ci è venuta l’idea di mostrare le opere nel luogo in cui nascono così abbiamo portato la casa di Iva all’interno degli spazi del padiglione albanese, l’abbiamo ricostruita in maniera sintetizzata, ne abbiamo riprodotto la planimetria. Le stanze nelle quali si muoveranno le persone sono esattamente gli spazi in cui l’artista vive e lavora. La sua è una casa studio che negli ultimi anni ha ospitato mostre di colleghi più giovani e amici quindi è anche uno spazio progettuale. Per offrire una visione completa del suo lavoro abbiamo scelto alcune opere simboliche anche della produzione passata che potessero dialogare in maniera interessante con quelle nuove. La gente vivrà quindi al suo interno una dimensione molto intima esaltando il lato voyeuristico che è molto importante nel lavoro di Iva.

Come si pone questa scelta rispetto alla tematica della Biennale?
A.G.: Il tema «Stranieri Ovunque» si propone benissimo nel padiglione: Iva ha vissuto una forma di diaspora, è nata e cresciuta in Albania ma si è trasferita molto presto con la famiglia in Italia, ha un’identità multipla che risponde perfettamente al tema. La stessa Albania è un Paese simile all’Italia in cui il concetto di immigrazione è stato molto forte non solo negli ultimi decenni ma nei secoli precedenti, anche il paese stesso non potrebbe essere meglio inserito al centro della tematica della Biennale.

La scelta della pittura è il manifesto di una sua personale propensione o di una risposta all’attualità ?
A.G.: La pittura per me è il centro attorno al quale ruotano tutti gli altri linguaggi, riesce a rispondere nel migliore dei modi ad un mondo in continua evoluzione e fluidità. Faccio un esempio: la sovrapproduzione di fotografia legata all’uso dei nuovi apparecchi digitali ha portato, rispetto a 15-20 anni fa, al calo di interesse nella produzione della fotografia. I giovani artisti più interessanti, e lo si vede dai collezionisti come Iannacone che è attento ai giovani tra i 25-35 anni, fanno pittura perché cercano unicità. La pittura è in grado di rispondere a tale esigenza perché crea una resistenza, riesce ad essere qualcosa di diverso e a produrre qualcosa che parla dell’oggi meglio di altri linguaggi.

Antonio Grulli. Foto Luca Bolognese

In quale modo la sua pittura riesce a veicolare il messaggio della corporeità e della sessualità?
Iva Lulashi: La pittura è un mezzo per me naturale, la mia ricerca parte dai frame di video di vario genere, in particolare erotici e pornografici. Le parti che vado a catturare sono quelle meno consumate dalle persone, sono i momenti in cui i rapporti non sono ancora così espliciti, di solito all’inizio o alla fine dei video. Le immagini che ripropongo sono a volte ambigue e questo porta una maggiore naturalezza e meno disturbo al fruitore che se vede un atto diretto tende a ritirarsi e a ritenerlo volgare. La scelta dei frame è una reazione a catena, non guardo un video dall’inizio alla fine, sono momenti, istanti in cui catturo immagini. Mi fermo e quindi scelgo quando capisco che c’è spazio per intervenire sotto forma di pittura, devono essere immagini abbastanza aperte per poter essere reinterpretate.

Che cosa aggiunge ai frame quando diventano dipinti?
I.L.: Sono piccoli elementi che possono cambiare tutta la narrazione dell’immagine, possono essere alcune macchie, alcune prospettive, delle cancellazioni, delle piccole aggiunte, quello che contribuisce a personalizzare il lavoro. I titoli sono attribuiti un po' con lo stesso sistema delle immagini, cerco in maniera istintiva nei libri e scelgo delle parole che metto insieme, quelle che credo possano stare bene con il quadro senza aggiungere una scenografia o un racconto. Se ho dipinto qualcosa e lo racconto tramite il titolo l’opera finisce, mi interessa creare ambiguità e mistero.

Sono anni che la sua ricerca si concentra sull’erotismo e su come venga percepito, come è cambiato negli anni il suo approccio a tale tematica?
I.L.: Quando ho iniziato a trattare questa tematica mi ero confrontata con il periodo del comunismo in Albania, quando tutto l’erotismo era censurato, la mia è stata una reazione, era un voler ribadire la libertà di espressione anche perché l’Albania era ancora impregnata da quel tipo di ideologia. Ora queste cose non si sentono più ma all’inizio della mia ricerca, nonostante io fossi in Italia, capii che anche qui, come in Europa, ci sono molti limiti e controlli.

Che apporto può dare un’opera nell’ambito di tali blocchi e censure?
I.L.: Penso che possa contribuire a normalizzare l’idea di erotismo e dei rapporti umani, del corpo con la natura, che mostri la sessualità come un gesto naturale e umano primordiale, un po' come l’idea del titolo: L’amore come un bicchiere d’acqua.

Iva Lulashi. Foto Andrea Rossetti

Una veduta del Padiglione albanese con due opere di Iva Lulashi. Foto © Andrea Rossetti

Graziella Melania Geraci, 17 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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