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«Lips to Kiss and Don’t Tell» (2023) di Maria Madeira per il primo Padiglione di Timor Leste alla Biennale di Venezia. Foto Juventino Madeira; cortesia dell’artista e di Anna Schwartz Gallery, Australia

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«Lips to Kiss and Don’t Tell» (2023) di Maria Madeira per il primo Padiglione di Timor Leste alla Biennale di Venezia. Foto Juventino Madeira; cortesia dell’artista e di Anna Schwartz Gallery, Australia

BIENNALE ARTE 2024 | I padiglioni asiatici

Frutti in decomposizione, una statuetta levitante che diffonde profumo e una nave a forma di drago sono solo alcune delle opere che esplorano i temi dell’identità, della migrazione e della memoria

Hannah McGivern

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Fin dalle sue origini, la Biennale di Venezia ha invitato gli artisti a rappresentare i loro Paesi nei padiglioni nazionali. Ma il potere dell’arte di attraversare e trascendere i confini nazionali e di altro tipo è una forza trainante della 60ma Biennale di Venezia (20 aprile-24 novembre), che si concentra sulle identità emarginate e sul Sud globale. Il curatore Adriano Pedrosa ha descritto il tema da lui scelto, «Stranieri Ovunque», come una «chiamata all’azione», dato che gli sfollati nel mondo hanno raggiunto un livello record. Molti degli artisti asiatici che partecipano ai padiglioni di quest’anno sembrano aver ascoltato l’appello. Ecco la nostra guida ai loro contributi che superano i confini, dalle specie migranti che crescono nelle foreste di Singapore a uno spettacolare viaggio in mare nel mito cantonese.

Giappone: Yuko Mohri

Gli elettrodi inseriti nella frutta in decomposizione generano l’energia per le sculture acustiche di Yuko Mohri in arrivo al Padiglione del Giappone, un’installazione che si presenta come un commento critico sulle questioni ambientali. L’artista afferma di essere interessata a come una crisi possa paradossalmente innescare «i più alti livelli di creatività». L’ispirazione le è venuta vedendo i lavoratori delle ferrovie di Tokyo improvvisare sistemi per catturare le perdite d’acqua nelle loro stazioni, utilizzando ombrelli rovesciati, secchi, tubi e nastro adesivo. Le crisi più grandi a cui Mohri pensa sono la pandemia di Covid-19, la disastrosa alluvione di Venezia del 2019 e la minaccia dell’innalzamento del livello del mare dovuto all’emergenza climatica. «Percependo l’inizio di una nuova era di risposta alle sfide globali, voglio presentare una visione innovativa che apra una nuova strada verso il futuro», ha affermato l’artista.

Filippine: Mark Salvatus

L’artista Mark Salvatus ha ideato il termine «Salvage Projects» per descrivere la sua pratica interdisciplinare. Le sue opere video e installative per il Padiglione delle Filippine recuperano le storie mistiche del Monte Banahaw, un vulcano dal valore sacro vicino a Lucban, città natale dell’artista. Il titolo, «Waiting Just Behind the Curtain of This Age», prende in prestito le parole del predicatore rivoluzionario del XIX secolo Hermano Puli, giustiziato dalle autorità coloniali spagnole per aver guidato un ordine religioso di nativi filippini, una risposta alla discriminazione razziale della Chiesa cattolica. La vita e l’eredità di Puli sono esplorate insieme alla storia parallela dei musicisti migranti di Lucban a partire dagli anni Cinquanta. Secondo un comunicato stampa, le narrazioni di resistenza e rinnovamento di Salvatus mirano a evocare la «potenza trasformativa dell’immaginazione locale».

Timor Leste: Maria Madeira

La nazione più giovane dell’Asia, Timor Leste, partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, venticinque anni dopo il referendum che ne ha deciso l’indipendenza dall’Indonesia. L’artista che la rappresenta, Maria Madeira, è stata evacuata da Timor Est subito dopo la decolonizzazione del 1975 dal Portogallo e l’invasione indonesiana; la sua famiglia ha vissuto per diversi anni come rifugiata in Portogallo prima di stabilirsi in Australia. La mostra «Kiss and Don’t Tell» rende omaggio alla resilienza delle donne timoresi, incorporando materiali tradizionali come la noce di betel e il tessuto cerimoniale tais. Nel corso di tre performance speciali durante i giorni di preapertura della Biennale, dal 17 al 19 aprile, l’artista bacerà le pareti con le labbra truccate di rossetto e canterà il canto di lutto spirituale Ina Lou nella lingua indigena Tetun, descritto come un appello all’«unità collettiva con la nostra terra madre».

Singapore: Robert Zhao Renhui

L’artista Robert Zhao Renhui ha fondato a Singapore l’Istituto pseudoscientifico di Zoologia Critica come veicolo per esplorare il rapporto tra uomini e animali. Come uno scienziato ricercatore, ha dedicato anni alla sua ultima indagine: uno studio sulle foreste «secondarie» di Singapore, dove la natura si sta nuovamente rigenerando dopo gli sconvolgimenti ambientali causati dall’uomo. Zhao traccia un parallelo tra questi siti trascurati ai margini dell’ambiente iperurbanizzato di Singapore, spesso popolati da specie vegetali e animali invasive «migranti», e le dinamiche della società umana. La sua presentazione a Venezia di opere video, installazioni sonore e scultoree, «Seeing Forest», cerca di aprire gli occhi sulla «ricchezza e varietà» delle foreste secondarie come spazi «radicalmente ospitali».

Taiwan: Yuan Goang-Ming

«Everyday War», il pezzo forte della mostra di Yuan Goang-Ming nel Padiglione di Taiwan, immagina un violento attacco aereo che devasta una casa, filmato nell’abitazione dello stesso artista. Dalle rovine, la casa viene riportata al rallentatore alla sua originaria calma domestica. Il pionieristico videoartista afferma di voler «esplorare metaforicamente le paure e le minacce nascoste di Taiwan nel suo attuale stato di esistenza», un’allusione alla crescente pressione militare sull’isola autogovernata, che la Cina continentale considera una regione separatista. Un senso di inquietante suspense prosegue in «Everyday Maneuver», un’opera precedente che cattura il rituale annuale del Wanan Air Raid Drill, quando tutti i taiwanesi si esercitano per un possibile attacco.

Corea del Sud: Koo Jeong A

«Qual è il tuo ricordo profumato della Corea?» è stata l’intrigante domanda posta la scorsa estate dall’artista Koo Jeong A. Più di 600 coreani (compresi i disertori della Corea del Nord) e residenti stranieri hanno scritto le loro risposte, che Koo e il suo team hanno distillato in 17 diversi profumi in collaborazione con profumieri. I visitatori del Padiglione coreano saranno immersi nelle loro creazioni attraverso una figura di bronzo levitante che diffonderà il profumo. Intitolato «Odorama Cities»,il progetto cerca di superare i confini geografici e i limiti del mondo visibile per mappare una nazione attraverso la memoria collettiva. È un esempio della sottigliezza degli interventi artistici effimeri di Koo, che lavora attraverso le tracce e i sensi per dimostrare che «nulla è semplicemente ordinario».

Padiglione Nordico: Lap-See Lam, Kholod Hawash e Tze Yeung Ho

Lo Ting, un essere mezzo pesce e mezzo uomo del mito cantonese, è il protagonista dell’«Altersea Opera», concepita dall’artista svedese Lap-See Lam per il Padiglione Nordico. L’opera racconta il suo desiderio di ritrovare la casa perduta, Fragrant Harbour, altro nome di Hong Kong. I visitatori della Biennale seguono il suo viaggio all’interno di una spettrale installazione a forma di nave drago, ispirata a una compagnia d’opera cantonese itinerante e a un ristorante cinese galleggiante che un tempo navigava da Shanghai alla Svezia. Le idee di migrazione, spostamento e appartenenza sono al centro della mostra di Lam, la prima del Padiglione Nordico a presentare artisti della diaspora asiatica. Lam ha collaborato con il compositore norvegese Tze Yeung Ho, anch’egli di origine cantonese di Hong Kong, e con l’artista tessile iracheno-finlandese Kholod Hawash per realizzare la soprannaturale Gesamtkunstwerk.

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Hannah McGivern, 01 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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