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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoli«Mio padre mi ha educato alla serietà, alla professionalità, al valore della stretta di mano e al mantenere sempre la parola data anche quando a volte si tornerebbe sui propri passi. Inoltre ho ricevuto da lui tutte le grandi motivazioni e gli stimoli per avvicinarmi al mondo dell’arte e del suo mercato. Nell’estate del 1985, a 24 anni, mio padre mi chiese di aiutarlo ad allestire una mostra di Licini»: così Carlo Repetto ricordava, in un’intervista a «Vernissage», suo padre Aurelio, scomparso il primo gennaio scorso a 90 anni.
Il figlio, oggi a capo di una galleria a Lugano, ne ha seguito le orme, iniziando a collaborare con lui quando la Bottega d’arte, che aveva sede ad Acqui Terme nell’alessandrino, era già un punto di riferimento per i collezionisti d’arte moderna. E fu in quei giorni a diretto contatto con quelle opere. Una «storia di famiglia» che inizia nel 1965, quando Aurelio Repetto e Fortunato Massucco (zio di Carlo), lasciarono la loro attività di arredatori per dedicarsi alla loro vera passione. Ebbero come maestri due amici, gli artisti Carlo Carrà e Pietro Morando.
Una linea storicizzata (pronta però a non perdere le tracce negli anni in cui, dopo la Pop art, emergeva l’Arte povera, dell’informale d’impronta naturalista, sotto lo stimolo del critico Francesco Arcangeli) caratterizzò da subito la vivace attività di una galleria che di «provinciale» ebbe solo l’ubicazione geografica.
Ennio Morlotti vi espose nel 1967. Poi arrivarono Piero Guccione, Sergio Romiti fino alla scoperta di Fausto Melotti nel 1986. Dal 1970 le mostre antologiche che ogni estate animavano l’estate acquese portarono in città non solo un pubblico di appassionati e di collezionisti, ma anche i critici che affiancavano la galleria nelle scelte espositive: Luigi Carluccio, Gianfranco Bruno, Paolo Fossati, Marco Vallora, Flaminio Gualdoni, Franco Solmi, Annie Paule Quinsac, Luigi Cavallo, Giorgio Barberi Squarotti, Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Luciano Caramel e la stessa Claudia Gian Ferrari, gallerista e storica dell’arte di prim’ordine. Morando, Morlotti, Felice Casorati, Guttuso, Chighine, Sutherland, Carlo Levi, De Pisis, Carrà, Rosai, Morandi, Sironi, Campigli , Licini, I sei di Torino, Franco Francese, Music, Reycend, Moreni, Guidi, Soffici, Ruggeri, Calandri, Burri gli artisti di scena al Liceo Saracco, prima sede di quelle imperdibili antologiche sino al 2000, quando si passò negli spazi delle ex Officine Kaimano.
Monografiche, ma anche vaste ricognizioni, scandivano le stagioni della galleria, come «Amate Sponde», «Pittura di Paesaggio in Italia», «Paesisti Piemontesi dell’800», «Dal Divisionismo all’Informale. Le due nature nella pittura piemontese tra i due secoli 1880-1960», «La scultura lingua viva. Arturo Martini e il rinnovamento della scultura in Italia nella seconda metà del Novecento». Una storia, quelle delle antologiche, che si prosegue negli anni 2000, con il ritorno al Liceo Saracco nel 2004, quando la galleria vi espone opere di Rubaldo Merello. Negli anni successivi, sino al 2009, sarà la volta di Bonzagni, Balla, Carlo Fornara e Mino Maccari.
L’arte e la montagna (come eccellente scalatore e presidente del Cai di Acqui Terme) erano le due passioni di Aurelio Repetto. E mentre nel 2006 la Bottega d’arte chiude i battenti, è lui ad affiancare ancora il figlio Carlo nella Repetto Gallery, ancora ad Acqui Terme. Christo, Sam Francis, Dennis Oppenheim, Fausto Melotti, l’Arte povera, e la Land art aprono orizzonti internazionali per la galleria, che nel 2010 si trasferisce prima a Milano in via Senato e poi a Londra, dove Aurelio segue i figli Carlo, Saverio e Paolo. Altri tempi, altre modalità di mercato. A raccontare la storia della Bottega d’arte è stata la rassegna che nel 2010 ne ha ripercorso le mostre estive; e la raccontano oggi gli impeccabili cataloghi: «Quando penso alle mostre organizzate dalla galleria di mio padre ad Acqui Terme, ricorda Carlo Repetto, ritrovo un tempo in cui la collaborazione tra il gallerista e il critico o storico dell’arte era più appassionante e intensa. Non saprei però spiegare perché questo rapporto si sia interrotto. Forse il mercato, che la fa da padrone, non ha più bisogno del critico, perché è gestito ormai dalle grandi gallerie e dalle grandi case d’asta. Un tempo, invece, il critico o lo storico facevano la differenza».

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