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Lavinia Trivulzio
Leggi i suoi articoliDiane Keaton, nata Diane Hall nel 1946, è stata molto più che un’attrice: è diventata un’icona cinematografica, un segno distintivo dello stile anni ’70 e ’80, e una figura capace di spostare i confini tra commedia e dramma sul grande schermo. Con oltre cinquant’anni di carriera alle spalle, le sue performance hanno saputo essere adorabili, complesse, ironiche e a volte dolorose. Keaton inizia ad attirare l’attenzione nella prima metà degli anni Settanta. Il ruolo di Kay Adams ne The Godfather (1972) le dà subito visibilità, anche se è nei film di Woody Allen che comincia a costruire la sua vera “voce” cinematografica. In Sleeper (1973) e Love and Death (1975) interpreta personaggi eccentrici, con una spiccata vena comica, che scherzano con i cliché esistenziali: è qui che emerge quella combinazione di involontaria goffaggine, intelligenza e innocente ribellione che diventeranno tratti caratteristici del suo stile. Il momento cruciale arriva con Annie Hall (1977), pellicola che le vale l’Oscar come miglior attrice. Il personaggio di Annie è, in molti modi, un ritratto autobiografico: imbarazzata, brillante, libera da schemi, capace di essere sia protagonista della propria esistenza che specchio ironico delle sue nevrosi. È probabilmente il film che maggiormente ha plasmato la percezione che il pubblico ha di Keaton. Negli anni ’80 Keaton non resta nel recinto della commedia. In Reds (1981) interpreta Louise Bryant, giornalista e figura femminista della rivoluzione del 1917, ruolo che le vale una nomination all’Oscar. È un personaggio che richiede dignità, conflitto interiore, impegno civile: un allontanamento da ciò che il pubblico era abituato a vederle fare ma che amplifica la sua gamma emotiva.
Altri ruoli drammatici importanti verranno ne The Good Mother (1988), Crimes of the Heart (1986), Marvin’s Room (1996), lavori in cui Keaton mostra sensibilità e capacità di modulare il personaggio al di là del sorriso, esplorando temi quali la famiglia, la maternità, la responsabilità. A partire dagli anni Novanta e Duemila, Diane Keaton diventa un nome di riferimento anche per le commedie romantiche “da adulti”, dove la sua età non è un ostacolo ma un valore. The First Wives Club (1996) la vede insieme a Goldie Hawn e Bette Midler in un film che parla di amicizia, perdita e rinascita, con ironia e sentimento. Something’s Gotta Give (2003), con Jack Nicholson, diventa forse il suo secondo grande titolo da cui è difficile prescindere. La sua interpretazione le porta un’altra nomination all’Oscar, e dimostra che Keaton sa ancora dominare la scena, anche in un genere che spesso “dimentica” le donne con qualche anno in più. Altri titoli come Baby Boom (1987), Father of the Bride e il suo sequel, Book Club (2018), The Family Stone, etc., consolidano il suo ruolo non solo come attrice protagonista, ma come punto di riferimento per le storie che riguardano famiglie, convivenze, identità femminile e cambiamenti generazionali. Keaton non si è limitata a essere davanti alla macchina da presa. Con Hanging Up (2000), dirige se stessa e altre star, esplorando il rapporto familiare, l’età, la distanza.
Ha scelto anche ruoli “di contorno” che mostrano che non ha bisogno di essere sempre al centro per lasciare un segno: apparizioni in film che mescolano commedia e dramma, produzioni indipendenti, scelte che riflettono gusti personali più che pressioni commerciali. Il valore della filmografia di Diane Keaton sta nel fatto che ha saputo attraversare decenni – anni ’70, ’80, ’90, 2000, 2010 – rimanendo riconoscibile, ma cambiando. Le sue scelte raccontano qualcosa sull’evoluzione del ruolo delle donne in una società che cambia: i ruoli di moglie, madre, amante, donna indipendente, genitore, amica. Ha contribuito a ridefinire la commedia romantica, ma anche a mostrarsi capace di introspezioni serie, sfumate. In più, è diventata simbolo di stile: eclettico, talvolta anticonformista, mai scontato. Annie Hall non è solo un film: è anche una dichiarazione di moda, di identità visiva, di come si può essere se stessi anche nei piccoli dettagli – abbigliamento, postura, dialogo – rendendo il personaggio memorabile non solo per “cosa dice” ma per come quella persona sta al mondo.
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