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Cecilia Paccagnella
Leggi i suoi articoliAll’alba degli anni Sessanta, tra i vari movimenti artistici che fiorirono al di là dell’Atlantico (New-Dada, Pop Art, ma anche nuove forme come happening e più in generale la performance art), si fece strada un gruppo di artisti che condividevano la medesima convinzione secondo cui l’arte doveva essere un «flusso», scorrere da un medium all’altro e affidarsi a una perenne successione di cambiamenti. «Purgare il mondo dall’arte morta, imitativa, artificiale, astratta, illusionistica, matematica. Purgare il mondo dall’“Europeismo”!», si legge nel Manifesto diffuso nel 1963 da George Maciunas.
Al suo fianco, Yoko Ono, George Brecht, Jonas Mekas e Ray Johnson, per citarne alcuni, preferivano eventi performativi e materiali facilmente reperibili per la realizzazione delle proprie opere, come «Make a Salad». Concepita nel 1962 da Alison Knowles, si basa su una sua direttiva testuale pensata per essere messa in atto da chi la legge, un «event score». L’autrice è mancata lo scorso 29 ottobre, a New York, all’età di 92 anni, lasciandosi alle spalle sculture, performance e opere musicali così semplici che chiunque avrebbe potuto realizzare.
Nata nel 1933 a Scarsdale, New York, frequentò il Middlebury College nel Vermont. Ben presto decise di diventare pittrice e si iscrisse al Pratt Institute, dove studiò con Josef Albers e Adolph Gottlieb. Nella Grande Mela conobbe Allan Kaprow, per il quale partecipò ad alcuni happening, Merce Cunningham e John Cage, ovvero alcune delle personalità emergenti e sperimentatrici degli anni Cinquanta. Nel 1962 prese parte al primo concerto Fluxus a Wiesbaden, in Germania. Dal 1960 al 1970 condivise la propria esistenza con Dick Higgins, assieme al quale diresse la casa editrice Something Else Press. È inoltre ricordata come una delle prime autrici di poesie generate al computer, ma le sue opere più famose rimangono gli «event score»: utilizzando materiali quotidiani, Knowles trasformava l’ordinario in arte, per dimostrare che essere «artista» non era solo un privilegio riservato a pochi.
«Make a Salad», per l’appunto, non forniva istruzioni dettagliate o ingredienti specifici per «fare un’insalata»: ognuno era libero di interpretare quelle tre parole come meglio credeva. Il risultato? Infinite versioni sempre diverse le une dalle altre. Allo stesso modo, «The Indentical Lunch» invitava l’interlocutore a consumare ripetutamente lo stesso pranzo, «un panino al tonno su pane integrale tostato con lattuga e burro, senza maionese, e un gran bicchiere di latte o una tazza di zuppa».
Pietra miliare di Fluxus, nonché una delle prime donne del gruppo, Knowles non ha mai ricevuto pienamente il giusto riconoscimento istituzionale, nonostante la sua partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1990: solo nel 2022, al Berkley Art Museum and Pacific Film Archive, le è stata dedicata la prima retrospettiva, che dall’8 novembre al 15 marzo 2026 sarà ospitata al Mamc+, Musée d’art moderne et contemporaine di Saint-Étienne Métropole. Ciononostante, le sue opere sono entrate nelle collezioni del Getty Research Institute e del Los Angeles County Museum of Art, entrambi con sede a Los Angeles; del San Francisco Museum of Modern Art; dell’Art Institute of Chicago; del Philadelphia Museum of Art; dello Smithsonian American Art Museum di Washington; del Brooklyn Museum, del Metropolitan Museum of Art, del Museum of Modern Art e del Whitney Museum of American Art, tutti con sede a New York; della Tate Modern di Londra; dello Stedelijk Museum di Amsterdam; dell'Hamburger Bahnhof di Berlino; della Staatsgalerie di Stoccarda; della Fondazione Bonotto di Colceresa, in Italia; e del Centre Pompidou di Parigi.
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