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Una ghigliottina in casa

Federico Florian

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Al Guggenheim 62 esemplari delle «Cells», la serie più autobiografica di Louise Bourgeois

«Devi raccontare la tua storia e poi devi dimenticarla. Dimentichi e perdoni. Questo ti rende libera». Tale affermazione condensa il senso dell’intera pratica dell’artista franco-americana Louise Bourgeois (Parigi 1911-New York 2010), che concepiva la creazione artistica come uno strumento catartico, capace di risolvere i traumi della coscienza. Esistenzialista e curativa è la sua arte: parla del passato per comprendere e accettare il presente.

Una delle più ambiziose realizzazioni della Bourgeois è la serie delle «Cells», termine inglese per cella o prigione, ma anche per cellula, l’unità fondamentale di ogni organismo vivente: si tratta di installazioni prodotte nell’arco di oltre due decenni (1986-2008), composte da oggetti di vario tipo, tra cui mobili, indumenti, bottigliette di profumo e sculture. Sono microcosmi dalla forte carica emotiva, la cui simbologia rimanda alla biografia personale dell’autrice. «Structures of Existence: the Cells», la mostra che il Guggenheim le dedica fino al 4 settembre, raccoglie ben 62 opere di questa tipologia.

Per la prima volta dal 1992 l’esposizione riunisce le «Cells» dalla I alla VI (all’epoca esposte insieme al Carnegie International di Pittsburgh). Apre il percorso la prima «cellula» della serie, «Articulated Lair» (1986); tra gli altri lavori, «Cell (The Last Climb)» (2008), che include al suo interno la scala a spirale originariamente parte dello studio dell’artista a Brooklyn, e «Cell (Choisy)» (1990-93), una replica in marmo rosa della casa d’infanzia della Bourgeois, sovrastata minacciosamente dalla lama di una ghigliottina, simbolo del passato decapitato dal presente.

Federico Florian, 09 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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Una ghigliottina in casa | Federico Florian

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