«Partitions sédimentaires» (2024) di Alassan Diawara. Veduta dell’esposizione «La Fleur et la Force», Contemporaine de Nîmes «Une nouvelle jeunesse»

Foto © Jean-Christophe Lett. © Contemporaine de Nîmes, Alassan Diawara, Adagp, Parigi, 2024, e Gare de Nîmes Centre / Sncf Gares & Connexions

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«Partitions sédimentaires» (2024) di Alassan Diawara. Veduta dell’esposizione «La Fleur et la Force», Contemporaine de Nîmes «Une nouvelle jeunesse»

Foto © Jean-Christophe Lett. © Contemporaine de Nîmes, Alassan Diawara, Adagp, Parigi, 2024, e Gare de Nîmes Centre / Sncf Gares & Connexions

La Contemporaine de Nîmes è un inno alla gioventù

La prima edizione della Triennale di arte contemporanea della città francese è un prototipo per una rassegna alternativa: attenta a una dimensione locale più che globale, nasce dal desiderio di relazionarsi attivamente e genuinamente con il tessuto urbano e la comunità dei cittadini

«Une nouvelle jeunesse», l’edizione inaugurale della Contemporaine de Nîmes, è un prototipo per una rassegna d’arte alternativa: un progetto attento a una dimensione locale più che globale, che nasce dal desiderio di relazionarsi attivamente e genuinamente con il tessuto urbano e la comunità dei cittadini. A cura di Anna Labouze e Keimis Henni, la nuova triennale d’arte contemporanea (fino al 23 giugno) si compone di 12 progetti chiave (che costituiscono il percorso intitolato «La Fleur et la Force»), ciascuno concepito da una coppia di artisti: un giovane artista emergente insieme a una personalità affermata nella scena dell’arte, o a una figura storica di riferimento. A ispirare la rassegna è il tema della gioventù e del rapporto intergenerazionale. Qui sono le nuove generazioni a fare da protagoniste, con il loro bagaglio di desideri, inquietudini e responsabilità: responsabilità nei confronti di un passato da custodire e aggiornare al tempo stesso, e di un futuro malleabile e dai contorni incerti, da plasmare con coscienza e immaginazione.

Il dialogo con la città e i suoi abitanti è lampante nel progetto di Alassan Diawara (Belgio, 1986), realizzato in collaborazione con Zineb Sedira (Francia, 1963) presso il Carré d’Art, il museo d’arte contemporanea progettato da Norman Foster. Le fotografie di Diawara, risultato di mesi di esplorazione di Nîmes e dintorni, offrono un ritratto intimo e poetico della comunità e dei suoi giovani cittadini, spesso raffigurati insieme a membri familiari più anziani. La «jeunesse» qui è cristallizzata in una varietà di scene e situazioni: un tableau vivant di ragazze adolescenti in un bagno pubblico; un ragazzino in ginocchio, che si specchia nell’acqua del fiume; una carezza materna e un intreccio di mani. Fa da felice contrappunto alle immagini di Diawara una serie di lavori fotografici e video di Sedira, l’artista che nel 2022 ha rappresentato la Francia alla Biennale di Venezia. In un trittico di fotografie, dal titolo «Mother, Daughter and I» (2003), Sedira raffigura sé stessa, sua madre e la figlia adolescente in un dialogo muto, a due a due. L’opera, associata a un video sempre presente in mostra, affronta con profondo lirismo la questione dello scarto linguistico e generazionale: la figlia dell’artista, che parla inglese, non può comprendere la nonna, che comunica in arabo algerino. Se il linguaggio perde ogni potere comunicativo, il gesto cerca di rimpiazzarlo: la donna e la ragazza si tengono per mano, colmando, apparentemente, le barriere di un discorso impossibile.

«Partitions sédimentaires» (2024) di Alassan Diawara & Zineb Sedira. Foto © Jean-Christophe Lett. © Contemporaine de Nîmes, Alassan Diawara, Adagp, Parigi, 2024 & Zineb Sedira, Adagp, Parigi, 2024, e Mennour, Parigi

Il rapporto con un passato recente in grado di offrire ispirazione e nuovi spunti creativi è esemplificato dal progetto di Jeanne Vicerial (Francia, 1991) presso il Musée du Vieux Nîmes. Artista tessile e designer di moda, Vicerial rende omaggio al grande maestro della pittura astratta francese Pierre Soulages, morto a Nîmes nel 2022. Le installazioni scultoree di tessuto nero di Vicerial, abitate da figure simili a spettri o cyborg in corso di metamorfosi, dialogano con i dipinti di Soulages (appartenenti alla serie degli «Outrenoir», «oltre il nero»), che esplorano le qualità trascendenti e trasformative della luce su stratificazioni di pennellate di pittura nera. All’interno della cornice pittoresca del museo cittadino, situato in un vecchio palazzo vescovile del Seicento, la pittura di Soulages sembra trasformarsi nelle matasse di Vicerial, in un dialogo intergenerazionale a cui hanno preso parte anche gli studenti della scuola di moda di Nîmes.

Ma il passato, a volte, necessita anche di un’operazione di decostruzione e revisione. Di fronte alla grandiosa Arena di Nîmes, costruita al termine del I secolo d.C. per inscenare combattimenti di gladiatori, si erge la mole argentata e ondulata del recentissimo Musée de la Romanité. All’esterno dell’edificio, in prossimità del ponte che porta al giardino archeologico, è collocata l’installazione di Valentin Noujaïm (Francia, 1991) e Ali Cherri (Libano, 1976). A ispirare il lavoro di Noujaïm è la figura di Eliogabalo, vittima di una vera e propria damnatio memoriae: un imperatore adolescente eccentrico e visionario, asceso al trono di Roma all’età di 14 anni e assassinato all’età di 18 per la sua controversa politica religiosa ed emancipazione sessuale. Nel film a tre canali «Les Trois visages d’Héliogabale», prodotto con la partecipazione degli studenti di cinema di Nîmes, l’artista riesamina i codici del teatro antico e identifica nella figura dell’imperatore un’icona anarchica, nonché l’incarnazione di una libertà sessuale e di una fluidità di genere rivoluzionarie. Le maschere argentate indossate dai tre attori, e realizzate da Ali Cherri, sono esposte di fronte ai tre schermi, evocando misteriosi arredi funebri o i fantasmi delle personalità di Eliogabalo.

«Avant de voir le jour» (2024) di Jeanne Vicerial & Pierre Soulages. © Contemporaine de Nîmes, Jeanne Vicerial, Adagp, Parigi, 2024, e Templon, Parigi - Bruxelles - New York & Pierre Soulages

«Les trois visages d'Héliogabale» (2024) di Valentin Noujaïm & Ali Cherri. Foto © Jean-Christophe Lett. © Contemporaine de Nîmes, Valentin Noujaïm & Ali Cherri, e Imane Farès, Parigi

Le tradizioni possono avere un risvolto violento e la «jeunesse» ha il potere straordinario di riplasmare usanze scomode, superate. È quello che accade nella videoinstallazione immersiva di Aïda Bruyère (Senegal, 1995), presso il Musée des cultures taurines, il museo dedicato alla cultura della tauromachia, radicata nella storia della città (le corride hanno luogo nell’Arena ancora oggi). Concepita e realizzata in collaborazione con studenti delle scuole medie e superiori di Nîmes e Seine-Saint-Denis, l’opera («Make Up Destroyerz III») racconta il tentativo da parte di un gruppo di adolescenti di ricostruire la società dopo un cataclisma planetario, affidandosi a un principio guida fondamentale: sbarazzarsi di sistemi e meccanismi sociali ingiusti, quali patriarcato e ineguaglianza di genere. Il conflitto, tuttavia, è inevitabile: i combattenti delle due fazioni opposte, con costumi psichedelici e armi alla Star Wars, si scontrano nell’Arena, tra fumogeni colorati che ricordano le installazioni e le performance pirotecniche dell’artista femminista Judy Chicago (Stati Uniti, 1939), i cui iconici lavori introducono il progetto di Bruyère.

«Pleins Feux» (2024) di Aïda Bruyère & Judy Chicago. Foto © Jean-Christophe Lett. © Contemporaine de Nîmes, Aïda Bruyère, Adagp, Parigi, 2024 & Judy Chicago, Adagp, Parigi, 2024

Se, nell’incantevole cornice della Chapelle des Jésuites, il progetto di June Balthazard (Francia, 1991) e Suzanne Husky (Francia, 1975) affronta il tema dell’attivismo ecologico dalla prospettiva dei bambini, la scultura pubblica di Caroline Mesquita (Francia, 1989) e Laure Prouvost (Francia, 1978), collocata in una piazzetta pittoresca nel cuore di Nîmes, attribuisce all’immaginario infantile una carica politica, elevandolo a monumento cittadino. La scultura, per la cui realizzazione le artiste hanno coinvolto i bambini della scuola materna di fronte, è una sorta di carosello abitato da tre personaggi di ottone: un’ape, un uccello e una figura umana che sorregge un cartello, in segno di protesta. I visitatori sono invitati ad azionare l’opera, facendone ruotare il meccanismo girevole. «Bee be mon manège» è un monumento all’infanzia, ma anche un monito per noi grandi: ci rammenta di dare ascolto alle richieste dei più piccoli, cooperando insieme a loro alla costruzione di un futuro migliore.

«Habiter la terre» (2024) di June Balthazard & Suzanne Husky. Foto © Jean-Christophe Lett. © Contemporaine de Nîmes, June Balthazard, Adagp, Parigi, 2024 & Suzanne Husky, e Galerie Alain Gutharc, Parigi

Federico Florian, 06 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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