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Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoliTracey Emin chiama «selfie» le gouache in formato cartolina. Sono indubbiamente autoritratti e la loro esecuzione prende poco più tempo di quella di uno scatto con lo smartphone, ma hanno molte differenze con quelli scattati. Innanzitutto sono dipinti, poche pennellate con il colore che si affievolisce man mano che il pennello scorre.
Inoltre i volti sono privi di lineamenti, come se le emozioni e le sensazioni che generalmente emergono dal viso venissero invece trasposte nel corpo, nella postura degli arti, nel seno appena abbozzato. La differenza fondamentale risiede però nel fatto che sembrano eseguiti non per un pubblico con cui condividerli tramite Instagram o Facebook, ma per un solo destinatario. In questo modo il ritratto diviene una specie di confessione intima, di rapporto a due, di legame tra artista e collezionista che li unirà per sempre.

«Selfie 18» del 2014 di Tracey Emin. Cortesia Galleria Lorcan O’Neill e l’artista
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