«Le grand siècle» (1954), di René Magritte. © Siae

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«Le grand siècle» (1954), di René Magritte. © Siae

Un salto nel vuoto, oltre la materia

Alla GAMeC il terzo capitolo della trilogia avviata nel 2018 dal direttore del museo, Lorenzo Giusti

Con «Salto nel vuoto. Arte al di là della materia», terzo capitolo della Trilogia della Materia, avviata dal direttore di GAMeC, Lorenzo Giusti, nel 2018 con «Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile» e proseguita nel 2021 con «Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione», si chiude il cerchio di un percorso condotto in dialogo con scienziati e filosofi, in una relazione tra arte e scienza, approdando a quella che pare essere (ma non è) la negazione stessa della materia: la smaterializzazione, «intesa, precisa Giusti, da un lato come l’interrogazione sulla possibilità del vuoto fisico e dall’altro come flusso digitale, che ci porta a esperire il reale in una forma alternativa a quella strettamente “cosale”».

La mostra (alla GAMeC, dal 3 febbraio al 28 maggio, per Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura), curata da Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta, è sì l’ultima delle tre ma è anche il seme da cui tutto è germogliato: «Scaturisce, continua Giusti, da un convegno che organizzai nel 2017 alle OGR di Torino, sul tema dei musei alla svolta post digital: riflettendo sulle nuove modalità di produrre e fruire l’arte, realizzammo che un discorso incentrato sulla fisicità delle opere poteva servire da antidoto a una narrazione erronea dei fatti artistici recenti, troppo spesso subordinata al concetto ingannevole di virtualità, ma anche alla trasversale perdita di contatto con la realtà materiale delle cose».

Il percorso di «Salto nel vuoto» riunisce lavori di oltre 80 artisti internazionali, dalle Avanguardie storiche ad oggi (per il 60% sono noti autori contemporanei, esponenti della ricerca più radicale) e presenta un gran numero di figure femminili, non solo del contemporaneo più stretto ma anche fra i nomi storicizzati, da Vera Molnár a Lillian F. Schwartz, artiste marginalizzate fino a qualche tempo fa.

Tre le tappe: il «Vuoto» innanzitutto, «in una sezione principalmente pittorica, con lavori che giocano sul minimamente percettibile, privilegiando la dimensione del bianco. Con Bonalumi, Castellani, Dadamaino, c’è Fabio Mauri, con uno “schermo” su cui nulla appare: è una mancanza, un vuoto di materia che, come tale, non si può riprodurre ma solo immaginare».

Entra poi in gioco il «Flusso», che si manifesta già negli anni ’60-’70 con opere-sistema e opere-processo. Qui figurano però anche autori precedenti e successivi, che vanno da Boccioni, Balla, Kupka, Picasso a Opalka, all’Arte programmata, a Fluxus, fino alla più stretta contemporaneità.

Chiude i giochi, la «Simulazione»: «una sezione in cui, al fianco di opere in realtà virtuale di autori come Timur Si-Qin o Rebecca Allen (una pioniera), figurano lavori iperrealisti di Duane Hanson o di Richard Estes, con la loro ipersimulazione della realtà, ma anche un dipinto del surrealista Magritte, che sembra riprodurre l’ambientazione di un videogame. E che quasi anticipa ciò che oggi ottengono, ancora in realtà virtuale, i Mshr (Brenna Murphy e Birch Cooper) che, grazie a Fondazione Meru-Medolago Ruggeri, hanno prodotto per lo Spazio Zero di GAMeC una nuova installazione della serie “Nested Landscapes”».

«Le grand siècle» (1954), di René Magritte. © Siae

Ada Masoero, 01 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

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