Un abito che si racconta
L'autobiografia della stilista Vivienne Westwood, tra punk rock, citazioni d'arte e messaggi politici

Vivienne Westwood ha lasciato un segno nel mondo della moda, come nella cultura popolare. Ora arriva in libreria la sua autobiografia (scritta insieme a Ian Kelly, traduzione di Marilisa Pollastro, pp. 414, € 30,00), tradotta a tamburo battente dalla dinamica casa editrice bolognese Odoya.
Dagli inizi tumultuosi negli anni Settanta la sua visione è sempre stata quella di un abito che racconta: di questo narravano le vetrine di Let it Rock, aperto nel 1971, per passare al celebre Sex, mecca del vestito fetish, di cui la designer celebrava il nome esibendosi con il fondoschiena scoperto, insieme a Chrissie Hynde (futura leader dei Pretenders) e la potente Jordan, che trionfa in «Jubilee» di Derek Jarman nelle vesti rivoluzionarie di Amyl Nitrate.
Insomma la scena punk, che poi deflagrò nell’estate del 1977, veniva messa a punto in quel negozio «che era come un salotto», frequentato da artisti
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(l'articolo integrale è disponibile nell'edizione su carta)