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Un particolare della copertina dell’album «Brain Salad Surgery» (1973) di Emerson, Lake & Palmer, disegnata da H.R. Giger

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Un particolare della copertina dell’album «Brain Salad Surgery» (1973) di Emerson, Lake & Palmer, disegnata da H.R. Giger

Stefano Causa nei panni dello storico dell’arte del rock

A partire da cammei autobiografici e racconti degli artisti effigiati, un libro con le storie di una serie di copertine celebri della storia del rock

Luca Scarlini

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Tra Battistello Caracciolo, Anton van Pitloo, Caravaggio e i caravaggeschi, il «trattino d’union», come direbbe il commissario Ingravallo del Pasticciaccio brutto de via Merulana è Stefano Causa. Da poco è in libreria il suo libro Dischi da correre, in cui lo storico dell’arte commenta, con piglio narrativo, a partire da cammei autobiografici e racconti degli artisti effigiati, una serie di copertine celebri della storia del rock.

Il tema è stato oggetto negli anni scorsi di mostre assai ampie, come «Vinyl» al Macba di Barcellona (2005), che si concentrava però sulle opere discografiche degli artisti (un territorio notevole, a partire dal mirabile gruppo «Le stelle» di Mario Schifano del 1967-68) e «Good vibrations» al Palazzo delle Papesse a Siena (2006). Qui invece l’autore si concentra su un manipolo limitato di classici legati soprattutto alla dimensione del ritratto. I Rolling Stones acidissimi al tempo di «Aftermath» (foto di Stephen Inglis, 1966), con l’agitato e magnetico Brian Jones, vanno di pari passo con The Doors (foto di Guy Webster, 1967), con un Jim Morrison icona di sé stesso di dimensioni enormi rispetto agli altri membri della band, destinati a un eterno ruolo di comprimari.

Il celebre «White Album» dei Beatles (1968), con il design celebre di Richard Hamilton che rimanda alla folgorazione di quegli anni dell’arte britannica per Malevic, cancella l’immagine della band, lasciando spazio alle funebri figurazioni di H.R. Giger per «Brain Salad Surgery» (1973) del gruppo Emerson, Lake & Palmer (nella foto, la cover dell’album). Titoli ironici (con refrain napoletani) per una scrittura brillante che indaga il senso recondito delle immagini di David Bowie, ma anche di celebrità pop degli anni Ottanta, come Sade e i Tears for Fears, senza scordare il mirabile ritorno di Tina Turner in terra di Albione con «Private dancer» (1984). 
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Dischi da correre,
di Stefano Causa, 90 pp., Nicolucci, Napoli 2022, € 18

Luca Scarlini, 01 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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