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Umbri in Casa Cajani

Stefano Miliani

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A metà luglio apre il Museo archeologico

Il popolo degli Umbri, che nei secoli intorno alla metà del I millennio a.C. fornivano manovalanza militare e commerciavano con gli Etruschi, diventano titolari di una casa museale a loro nome. Gualdo Tadino, tra i boschi dell’Appennino ai confini con le Marche, apre a metà luglio il primo Museo archeologico degli antichi Umbri: in tre dei quattro piani della storica Casa Cajani il Comune dispiega oggetti quotidiani, armi, vasi attici, frammenti rinvenuti dagli anni Venti agli anni Cinquanta dall’archeologo Enrico Stefani insieme ad altri recuperati più di recente dalla Soprintendenza. Il fatto più curioso è che fino a poco tempo fa nessuno sospettava nemmeno l’esistenza della maggior parte di questi oggetti: scoprirli ha richiesto un’autentica indagine tra documenti e intuizioni portata avanti, per la sua tesi di laurea, da Maria Angela Testa e da Laura Bonomi, archeologa ora in pensione che per qualche anno era stata soprintendente reggente vicario in Umbria.

Cratere apulo del IV secolo a.C. dalla tomba 28 in località Cartiere, Gualdo TadinoTra touch screen, la ricostruzione di un forno e l’allestimento firmato dall’architetto Nello Teodori, lasciando il quarto piano alla ceramica che in questo borgo ha una robusta tradizione, la raccolta spalanca una finestra sui «tarsinati di Colle Mori e dintorni, come sono chiamati gli Umbri nelle tavole eugubine scritte in umbro al Museo civico di Gubbio», segnala un funzionario appassionato, Fabio Talamelli. Gran parte dei reperti ha una storia curiosa: viene da una trentina di casse scoperta nei depositi della Soprintendenza a Spoleto. Com’è saltata fuori? Tutto parte da Maria Angela Testa che preparava una tesi sulle necropoli umbre nel Comune appenninico. Esaminando articoli e inventari sugli scavi condotti dal 1918 al 1955 da Stefani, ha capito che mancava molto all’appello: «Il numero delle tombe scoperte doveva essere di gran lunga maggiore a quello riportato negli articoli pubblicati». Allora è risalita agli appunti dell’archeologo nella Biblioteca Apostolica Vaticana. «Qui ho scoperto un tesoro. Pagine e pagine di diari di scavo, documenti, foto su Gualdo Tadino e su località lontane come Creta, poiché Stefani partecipò alla scoperta del palazzo di Cnosso negli anni Venti». Deduzione logica: da qualche parte dovevano nascondersi, quei reperti. Dove? Le ricerche si dimostrarono lunghe e infruttuose. Laura Bonomi la incoraggiava e mesi dopo telefonò alla laureanda: a Spoleto avevano rintracciato casse chiuse. Le aprirono: erano piene di reperti avvolti nella carta. Confrontando per un anno le carte dell’archeologo, le descrizioni degli oggetti in inventari della Soprintendenza archeologica di Villa Giulia a Roma e i pezzi stessi, Testa ha completato il puzzle: erano i reperti mancanti. «Di ogni tomba ho potuto ricostruire l’orientamento, le misure, la posizione del defunto, la disposizione del corredo e la datazione degli oggetti». 

Una porzione del materiale esposto, spiega Laura Bonomi, proviene da sue ricerche sul Colle Mori, dove sorgeva «uno dei centri urbani umbri databile dalla fine del VI al III secolo a. C. e che aveva terrazzamenti artificiali, case con basamento in pietra e un primo piano in legno». Viene da chiedere che cosa distingue gli Umbri dei monti dai vicini. «Erano più austeri e meno ricchi rispetto a quelli adriatici e agli Etruschi. Dediti alla transumanza e al mercenariato, parlavano una lingua indoeuropea. Nella zona dell’attuale Gualdo Tadino erano benestanti, visto che nelle necropoli sono venuti alla luce, frutto di forti commerci, vasi attici, prodotti etruschi e beni di importazione». 

Stefano Miliani, 12 luglio 2015 | © Riproduzione riservata

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Umbri in Casa Cajani | Stefano Miliani

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