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Totem, sogni e lager aziendali

Federico Florian

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Al New Museum dal 27 aprile al 19 giugno l’artista rumena Andra Ursuta (1979) di stanza a New York, è la protagonista di una personale al quarto piano del museo sulla Bowery. La Ursuta presenta un’installazione scultorea che combina lavori nuovi e recenti. Tra le sue ultime sculture, vi è la serie «Whites» (2015), composta da obelischi bianchi, dalle fattezze antropomorfe, dotati di narici e orbite oculari. Tali figure austere e spettrali, i cui «volti» evocano teschi umani, poggiano su sedie in stile coloniale. L’arte della Ursuta, spesso attraversata da un caustico sarcasmo, gioca con gli stereotipi nazionali: ne è un esempio l’opera «Commerce Exterieur Mondial Sentimental» (2012), costituita da due figure marmoree di donna in stile real-socialista, fabbricate in Cina e abbellite di monete. Ispirate a una fotografia di una donna rom in attesa di essere deportata dalla Francia, le sculture appaiono come manichini senza vita, metafore dell’impotenza dei soggetti che rappresentano, nelle mani di poteri stranieri.

Nelle stesse date, la Lobby Gallery ospita un nuovo progetto della giovane britannica Cally Spooner (1983). «On False Tears and Outsourcing» consiste in una prolungata performance strutturata sulla base della logica che informa i «meeting» aziendali. Un gruppo di performer inscena coreografie di gesti, alcuni dei quali tratti da film romantici e sport di squadra: movimenti a metà tra intimità e competizione, che si evolvono nel corso dell’esposizione. Fulcro del progetto è la violenza insita nella nozione di «risorsa umana»: il soggetto come capitale produttivo e risorsa performante. Le luci al neon e un elevato riscaldamento avvicinano lo spazio allo sterile ufficio di una multinazionale.

Al quinto piano, infine, è presente la portoricana Beatriz Santiago Muñoz (1972) con una personale parte del programma «Legacy», lanciato dal Dipartimento educativo del museo e volto a indagare il rapporto tra presente ed eredità culturale. L’esposizione, che segue una residenza dell’artista, include un nuovo corpus di lavori, tra cui una serie di ritratti in 16mm di antropologi, artisti e attivisti che lavorano ad Haiti e Porto Rico. Incrociando etnografia, cinema documentaristico e finzione, la macchina da presa della Santiago Muñoz cattura i sogni e le aspirazioni di dissidenti e menti brillanti, fautori di modelli di vita alternativi.

Federico Florian, 20 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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