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Sapone, burro e vinile

Federico Florian

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«L’artista è un viaggiatore nel tempo», ha dichiarato una volta Rashid Johnson, artista afroamericano di Chicago, classe 1977, di stanza a New York. La storia e la memoria, a suo avviso, rappresentano il materiale grezzo di ogni pratica artistica: le opere d’arte, continua, sono «un portale per riscrivere la storia in modo efficace». L’arte di Johnson ruota attorno a tematiche quali l’identità e l’integrazione; attinge a oggetti domestici e quotidiani, dalla forte connotazione biografica, per instaurare un discorso di carattere universale.

La Gamec, dal 19 febbraio al 15 maggio, gli dedica una personale, a cura di Stefano Raimondi. «Reasons», il cui titolo allude alla diretta influenza esercitata dalle poesie della madre sulla pratica di Johnson, raccoglie lavori storici e inediti, tra dipinti, sculture, video e installazioni.

Fra i materiali prediletti dall’artista figurano il sapone nero, la cera e il burro di Karité, riferimenti alla cultura afroamericana, oltre che libri e vinili, i primi sottratti dalla biblioteca della madre, i secondi parte della discografia giovanile dello stesso Johnson.

L’imponente «Fatherhood» (2015) occupa il centro dello Spazio Zero del museo bergamasco: si tratta di una scultura piramidale composta da cubi d’acciaio di diversa grandezza, al cui interno giacciono oggetti dal forte significato biografico, tra cui alcune copie dell’omonimo bestseller di Bill Cosby.

Lungo il perimetro della sala completano l’esposizione altri lavori, tra cui la serie dei «Cosmic Slop»: dipinti-sculture, fatti di piastrelle in ceramica e sapone nero, che riportano le tracce di intense composizioni gestuali.

Federico Florian, 13 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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Sapone, burro e vinile | Federico Florian

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