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Sacre, inedite e lignee

Mariella Rossi

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Sculture ticinesi dal Medioevo al Settecento nella Pinacoteca Züst

Dal 16 ottobre al 22 gennaio rari esempi di scultura lignea medievale (dal XII secolo al Tardogotico), rinascimentale, sei e settecentesca, provenienti dal Ticino, sono esposti per la prima volta insieme nella Pinacoteca Cantonale Giovanni Züst, diretta da Mariangela Agliati Ruggia. Intitolata «Legni preziosi. Sculture, busti, reliquiari e tabernacoli dal Medioevo al Settecento», la mostra è curata da Edoardo Villata con il coordinamento scientifico e organizzativo di Mariangela Agliati Ruggia e Alessandra Brambilla e la collaborazione di un gruppo di studiosi svizzeri e italiani composto da Lara Calderari, Laura Damiani Cabrini, Matteo Facchi, Claudia Gaggetta, Anastasia Gilardi, Claudio Premoli e Federica Siddi, autori anche dei saggi in catalogo. Di tutto questo abbiamo parlato con Edoardo Villata. 

Vi sono delle novità critiche in questa esposizione?

La mostra è nata da un lavoro collegiale: ciascuno ha portato le proprie conoscenze del territorio, dei documenti d’archivio e dei possibili confronti all’interno di uno scambio continuo e proficuo. Questo modus operandi ha portato alla luce numerose novità, o fatto riemergere notizie non inedite ma di cui si era persa memoria, come il caso dell’Immacolata di Ponte Tresa restituita ad Antonio Pino, della Madonna del Rosario di Agno o della cassa-reliquiario di santa Sabina proveniente da Ascona. Molte novità riguardano le attribuzioni a specifici maestri o ambiti. I due Angeli del Museo di Leventina di Giornico sono stati attribuiti ai fratelli Giovanni Pietro e Giovan Ambrogio De Donati, protagonisti della scultura lignea del Rinascimento lombardo; il Cristo portacroce della chiesa di Loreto a Lugano è stato riferito all’ambito di Battista da Corbetta, mentre la Madonna del Rosario di Arzo è stata ritenuta probabile lavoro di Giulio Cesare Mangone. Da non dimenticare il san Vincenzo Ferrer di Vacallo, prossimo al genovese Agostino Storace (se non a lui attribuibile) e l’ipnotico beato Angelo Porro di Mendrisio, opera di origine romagnola di un così esasperato verismo da competere con le coeve sculture in cera. E per certo costituirà una sorpresa il presepe di Giornico, creato per accumulo di elementi tra Sei e Settecento a partire da una Sacra Famiglia cinquecentesca eseguita da un artista tedesco.

Com’è articolata la mostra?

In cinque sezioni: il Medioevo, il Rinascimento, le opere tedesche, il Seicento e il Settecento. Macroaree all’interno delle quali si articolano discorsi più sottili e complessi come l’evoluzione delle sculture di importazione tedesca dal Trecento al Cinquecento o le modifiche cui viene sottoposta nell’arco di poco più di un secolo l’iconografia della Madonna del Rosario, ma anche il costante aggiornamento del linguaggio rinascimentale e l’apertura ad aree sin lì non molto considerate dai committenti settecenteschi.

Da dove provengono le opere esposte? 

Tutte le opere, valorizzate dall’allestimento di Mario Botta, provengono da chiese e musei del territorio ticinese: l’unica eccezione è una Madonna rinascimentale di collezione privata che partecipa alla rassegna essendone stata accertata l’antica collocazione nella parrocchiale di Minusio. Il nostro intento è stato di fare una ricerca territoriale su un aspetto della cultura figurativa nel Canton Ticino, che finora ha attirato solo sporadiche attenzioni da parte degli studiosi. Tale scelta rientra nella politica culturale della Pinacoteca Züst tesa a indagare la ricchezza artistica del territorio e dei suoi artisti, con approcci metodologici differenziati e da molteplici punti di vista, ma sempre con freschezza di sguardo e rigore d’intenti.

Ci sono opere inedite o restaurate?

Sono pressoché del tutto inedite almeno un quarto delle opere esposte e ben più della metà quelle che trovano in questa occasione il nome dell’autore o l’anno di realizzazione. Alcune vantano restauri recenti, altre (la Madonna gotica della Casa di Riposo Belsoggiorno di Ascona, quella rinascimentale di Loreto da Bellinzona, il Crocifisso di Muralto, la cassa di Santa Sabina), sono state restaurate per la mostra; altre ancora sono esposte in attesa di restauro, fiduciosi che la contestualizzazione proposta possa aiutare future e auspicabili operazioni di manutenzione.

Quali sono le linee di forza della produzione sacra lignea ticinese?

Il costante flusso di opere tedesche che attraversa si può dire tutto il Medioevo per interrompersi solo con la Controriforma, l’importanza fondamentale che per tutto il Seicento e anche oltre assume il prototipo della Madonna dell’albero nel Duomo di Milano, molto valorizzata da Carlo Borromeo, il fatto, apparentemente curioso, che le opere di maggiore importanza, almeno negli ultimi due secoli dell’Ancien régime, sono frutto di importazione o di committenze oltre i confini svizzeri: da Milano, dal Comasco, da Genova o dalla Romagna. È rilevante che tale fenomeno si riscontri proprio mentre pittori, architetti, stuccatori e marmorari ticinesi erano richiestissimi in tutta Europa.

Mariella Rossi, 11 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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