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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliQuella di Peter e Irene Ludwig è una delle più importanti e vaste raccolte private di Pop art, che i coniugi tedeschi cominciarono a collezionare poco più che trentenni all’inizio degli anni Sessanta, puntando su protagonisti oggi leggendari, come Jim Dine, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Robert Rauschenberg e naturalmente Andy Warhol.
Nel frattempo sono oltre venti i musei che hanno ottenuto prestiti in comodato gratuito o donazioni dai Ludwig, mentre numerose sono pure le istituzioni che basano di fatto la propria esistenza artistica sulla generosità della coppia di collezionisti, tanto da portarne il nome. Fra questi, anche il Mumok di Vienna, la cui denominazione per intero è Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig e che dal 1981 dispone di un centinaio di opere dei coniugi Ludwig. Dal 12 febbraio al 13 settembre il museo mischia tuttavia le carte e propone, insieme alle sue, opere da altre sei istituzioni intitolate ai due collezionisti e attive a Colonia, Aquisgrana, Coblenza, Basilea, Budapest e Pechino. La mostra curata da Susanne Neuburger col titolo «Ludwig goes Pop» si sviluppa su quattro piani e costituisce un’occasione sia per vedere riunita parte della collezione sia per indagare il rapporto tra collezionismo privato e le istituzioni pubbliche. «L’era dell’Op e del Pop, dell’Hard-Edge e della Minimal art è lo specchio della nostra esperienza del mondo e rappresenta il paesaggio in cui si è sviluppata la nostra vita», diceva l’industriale Peter Ludwig, perfettamente consapevole del ruolo dei privati nel mondo museale, in particolare quello dedicato all’arte contemporanea: «I musei, aggiungeva, sono di fatto i beneficiari e gli eredi dei collezionisti privati. Nessuna direzione di un ente pubblico ha la libertà di azione di un singolo appassionato d’arte, che può acquisire oggi ciò che il pubblico amerà domani. E se commette errori, è solo lui a portarne il peso».
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