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Pathos e sentimento

Laura Lombardi

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A Palazzo Strozzi: 50 bronzi eccelsi che andranno  al Getty e alla National Gallery  di Washington

La grande mostra sui bronzi dell’Ellenismo che si tiene a Palazzo Strozzi (14 marzo - 21 giugno), organizzata dalla Fondazione omonima con la Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana (e il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze), per poi proseguire negli altri due musei partner del progetto, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles (28 luglio - 1 novembre) e la National Gallery of Art di Washington (6 dicembre - 20 marzo 2016), non ha solo l’intento di riunire per la prima volta capolavori eccelsi di quel periodo sparsi nei musei di tutto il mondo, ma anche di sottolineare come la cultura in cui essi furono creati, l’Ellenismo, possa esser letta come la prima forma di globalizzazione nel mondo antico.

La testa di cavallo Medici Riccardi conservata a Firenze al Museo Archeologico Nazionale. Le analisi hanno consentito di datare l’opera al IV secolo a.C.Infatti il linguaggio artistico, filosofico, letterario che si diffuse tra il IV e il I secolo a.C. nell’immenso impero creato da Alessandro Magno, esteso dalla Grecia e dai confini dell’Etiopia all’Indo, fonde elementi della cultura greca con quella orientale, e supera il concetto basilare del mondo greco, quello della polis, per far trionfare quello di «corte», con un fasto e una grandiosità tali che perfino il bronzo, annota Plinio il Vecchio, rifulgeva al pari dell’oro.

Ma quel che muta è anche la forte accentuazione nell’esprimere i sentimenti, dolore, rabbia, languore, gioia e angoscia sono appunto questi due caratteri che la mostra, curata da Jens Daehner e Kenneth Lapatin, del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, vuole, fin dal titolo, «Potere e pathos. Bronzi  del mondo ellenistico», evidenziare, accostando per la prima volta opere quali l’Apoxyomenos di Vienna in bronzo e la versione in marmo degli Uffizi utilizzata per il suo restauro, o i due Apollo-Kouroi, arcaici conservati al Louvre e a Pompei.

Apre il percorso la statua dell’Arringatore, a ricordarci che il collezionismo di statue ellenistiche era già vivo al tempo di Cosimo I de’ Medici; si snodano poi sette sezioni con una cinquantina di capolavori, e di alcuni di questi è illustrato il momento della scoperta, sovente avvenuta in mare, ma anche il processo di produzione, di fusione e le tecniche di finitura.

Nella sezione «Ritratti del potere» genere che nasce proprio con Alessandro Magno, vi è la sua effigie a cavallo, ma anche la Testa ritratto di Arsinoe III Philopator, mentre in quella «Corpi ideali, corpi estremi», attraverso la Statuetta di un artigiano o l’Eros dormiente, entrambi del Metropolitan Museum of Art, si coglie l’evoluzione stilistica nel rendere il dinamismo del corpo nella diversità di movimenti e posizioni. Vi è poi la sezione dedicata al ritratto individuale, con l’uso di intarsi e colore per ottenere un aspetto naturalistico e accentuare il pathos e quella «Repliche e mimèsi», in cui si illustrano la capacità del bronzo di creare multipli «originali» in opere ellenistiche in periodi successivi eseguiti con fusione e «lavoro a freddo», l’imitazione del bronzo nella pietra scura e la diversa conservazione tra i bronzi rinvenuti in mare e quelli trovati nel suolo.

La sala delle «Divinità» accoglie capolavori quali la Minerva di Arezzo, il Medaglione con il busto di Atena e la Testa di Afrodite e infine «Stili del passato» evidenzia un nuovo interesse per i modelli arcaici e classici insieme alla mescolanza di stili tardoellenistici, come nell’Idolino di Pesaro o nell’Apollo del Louvre. In occasione della mostra è stata restaurata, grazie al finanziamento della Fondazione non profit Friends of Florence, la celebre testa di cavallo in bronzo Medici Riccardi, capolavoro della scultura greca di età tardoclassica (intorno al 350 a.C.) appartenuta a Lorenzo il Magnifico. L’opera, che fu integrata dal restauratore Bartolomeo Cennini sotto Cosimo II e nel 1881 passata nel Museo archeologico di Firenze insieme a tutti gli altri reperti archeologici che avevano costituito le imponenti collezioni mediceo-lorenesi, è stata affidata alle mani di Nicola Salvioli, sotto la direzione di Mario Iozzo e la supervisione di Stefano Sarri (Centro di Restauro della Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana). L’intervento è stato accompagnato da una campagna di analisi e di studio tecnologico per la determinazione delle problematiche conservative e dei materiali originali (leghe, patine, cere, dorature), a cura del Cnr di Firenze - Istituto di Fisica Applicata «Nello Carrara».

Laura Lombardi, 12 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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