Redazione GDA
Leggi i suoi articoliDa alcuni anni la Galleria Antonio Verolino di Modena si sta dedicando insieme a Lucas Pinton, pronipote del fondatore, nel 1867, dell’Atelier Pinton a Felletin (Francia), alla rivalutazione dell’arazzo inteso come opera d’arte, proseguendo una tradizione già interpretata da grandi nomi come, ad esempio, Pablo Picasso, Alexander Calder, Fernand Léger e Victor Vasarely.
Dopo la serie di lavori nati dalla collaborazione con David Tremlett, Enzo Cucchi, Luigi Ontani, Joe Tilson, Bertozzi & Casoni e Mimmo Paladino, l’ultimo realizzato è l’arazzo «Dopo Tutto» (2021) di Giulio Paolini, tessuto a mano, da cartone originale, in tre esemplari (122x180 cm).
Il soggetto, nato in occasione di una serie di collage realizzati tra il 2009 e il 2014, è un «autoritratto rovesciato» che sembra interrogarsi sulla doppia figura dell’autore e dello spettatore, tema centrale nella ricerca di Paolini, a partire dallo storico «Giovane che guarda Lorenzo Lotto» (1967).
Una silhouette maschile vista di spalle è intenta a osservare un quadro, evocato per mezzo di un tracciato lineare, mentre una cornice dorata inquadra la scena medesima.
In questa ambigua successione alterna di inquadrature concentriche, particolarmente adatta alla tecnica dell’arazzo, laddove l’immagine prende forma in porzioni omogenee di colore, lo sguardo del protagonista non vede alcunché dal momento che il «quadro» definito dalla cornice dorata cade alle sue spalle. «La figura rappresentata, chiarisce Paolini, anziché volgersi come di solito verso noi osservatori, occupa la nostra stessa collocazione: è rivolta a un al di là, verso qualcosa che non è dato vedere».
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