Optical Mandala

Alla Galleria Monopoli un pionieristico ciclo di opere di Attilio Alfieri

Proiezione 6, Pellicola fotografica su fotografia applicate, 26,5 x 31 cm, 1933
Redazione |  | Milano

Alla Galleria Monopoli di Milano (via Ventura, 6) inaugura, il 16 febbraio, una singolare mostra a cura di Roberto Borghi in collaborazione con l’Archivio Attilio Alfieri.  «Oggetti trovati nella mente», titolo della collettiva che parte da uno specifico ciclo di lavori di Attilio Alfieri (Loreto 1904-Milano 1992), è la formula con cui lo stesso artista definisce un ciclo di opere di piccole e medie dimensioni create nella prima metà degli anni Trenta del secolo scorso.

Un lavoro pionieristico, collage di pellicole fotografiche (materiali con cui è spesso a contatto nel suo ruolo di grafico per la Triennale e la Fiera di Milano), che ricordano le ricerche artistiche sperimentali di personaggi come Piero Fogliati (nato nel 1930), che pochi anni dopo avrebbe usato pellicole simili e addirittura strati organici fungini per opacizzare i vetri delle finestre.

Il lavoro di Alfieri, forse più noto, anni dopo, per le opere pittoriche, nature morte, paesaggi, anche di guerra e distruzione, la stessa che ha vissuto per ben due volte, sembra anche anticipare le ricerche sul movimento dell’arte cinetica e della stessa op-art.

Dal comunicato della galleria, infatti, «(nel lavoro si scorgono) forme archetipiche che gli sembrano scaturite dall’inconscio, strutture dinamiche o movimenti virtuali che rimandano ai mandala e alle geometrie sacre. Gli anni di realizzazione dei collage sono quelli in cui in Italia cominciano a essere letti i testi di Jung, ma anche quelli nei quali il regime fascista finanzia le esplorazioni in Tibet dell’orientalista Giuseppe Tucci, a cui la stampa dà grande risalto. Sono poi gli anni nei quali la scena artistica italiana, e in particolare quella milanese, è tentata dall’astrattismo, risente degli echi del Bauhaus, è permeata di suggestioni surrealiste»

Attilio Alfieri è un uomo «spiritualmente inquieto, lettore onnivoro e artista pervaso da un bisogno quasi compulsivo di sperimentazione formale», lo si vedrà poi nella sua produzione pittorica. Ed è per questo che fa un particolare effetto leggere nei diari dell’artista le riflessioni sulla sua giovinezza, quando, ancora bambino, deve aiutare il padre fruttivendolo. «Disperato di infinito sapere, quel voler sapere frustrato: una mano reggeva il libro, l'altra spingeva il carretto paterno: di fatiche disumane respinto in un recesso rammarico di crescita scolastica».

La passione della musica, sorella reale di matematica e movimento, e per l’arte lo portano a Milano dove grazie ad un lavoro da imbianchino dal 1925 frequenta Brera ai corsi serali, «feci l'entrata a Milano come un passero tentennante, avido di beccare quel nutrimento cittadino necessario alla mia incolmabile ignoranza, innocente presunzione».

Negli anni ‘30, gli stessi delle opere in mostra, prende studio in via Solferino dove potrà sperimentare la sua pittura, «ho preso in affitto un abbaino in via Solferino 11. Che destino! Vicino al mio abita il pittore Giovanni Colombo detto da Busnago, virtuoso del Naviglio, fratello del Colombo che mi fece compagnia a Porchera, anzi abitammo insieme!».

Il palazzo di via Solferino diventa un luogo di creatività, con artisti tra cui Saltini, Andreoni, Mantica, Bonfantini, Birolli, Spilimbergo, Lilloni, Greggio, Del Bon, frequentato da intellettuali come Giolli, Persico, Gatto, Cantatore e Carrieri.

Ad Alfieri viene proposto di unirsi al gruppo che prenderà poi la denominazione di “Corrente” e ai “chiaristi”, ma lui, temendo di venire tacciato come “semplice imbianchino”, si tiene appartato. Negli anni ‘30 porta il suo lavoro all'«Esposizione universale di Parigi» con l’opera «Mariuccia» (1932) e qui ottiene la medaglia d’oro, e poi alla Biennale di Venezia (1938). Gli anni del fascismo sono particolarmente duri per l’artista che non si iscrive al Partito e per questo perderà il posto di insegnante all’Umanitaria.

A questo punto inizia una parentesi feroce nella quale Alfieri entra nella Resistenza insieme ai fratelli della sua futura moglie, Leonida e Ferrino Argè. Quest’ultimo viene arrestato e deportato in Germania (morirà in un campo di concentramento poco prima della fine della guerra), mentre Alfieri, avvisato per tempo, si rifugia nelle Marche. Qui nel 1943 entra nella Brigata partigiana Ancona, al comando di Paolo Brancondi, poi fucilato dai nazisti nel giugno 1944.

È forse questa fase della sua vita che ne spiega, in parte, la resilienza successiva, che lo porterà poi all’affermazione dagli anni ’50, che lo vedono impegnato anche in ambito pubblicitario, nonché collezionare personali e collettive, praticamente sino alla sua morte, avvenuta nel 1992 a Milano.

Nella mostra presso la Galleria Monopoli, i collage astratti degli anni Trenta sono esposti insieme con le opere di Valeria Manzi, Renato Jaime Morganti, Lucia Sammarco Pennetier: tre artisti contemporanei che, ibridano la loro ricerca creativa con la grafica il design, e realizzano “movimenti virtuali” e forme primarie che richiamano quelle dei mandala.

Sembra, questa, una mostra sul potere della forma certo, ma, ancora di più, sulla poetica del movimento, sul profondo senso esistenziale dell’incedere, lo stesso che ha portato un uomo dall’indigenza, alla resistenza armata, all’arte.

© Riproduzione riservata Progetto Triennale parete est, Pellicola fotografica su fotografia applicate, 21 x 27,5 cm, 1933
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