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«La torre rossa» di Giorgio de Chirico. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

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«La torre rossa» di Giorgio de Chirico. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

Non esagero, io sono superiore

Le 463 lettere scritte da Giorgio de Chirico tra il 1909 e il 1929, a cura di Elena Pontiggia

Guglielmo Gigliotti

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Solo i carteggi riescono a restituire di un grande artista gli stati d’animo realmente provati, la verità del quotidiano, la trama delle relazioni umane, gli affetti, gli odi, le difficoltà e il sorgere lento delle grandi visioni poetiche. In altre parole: la vita.

Le 463 lettere scritte da Giorgio de Chirico tra il 1909 e il 1929, grazie anche alla decennale curatela di Elena Pontiggia che integra con oltre mille note il grande mosaico esistenziale tratteggiato dall’epistolario pubblicato dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, sono tante finestre aperte sul concreto contesto psicologico in cui germinò e si sviluppo l’intuizione della pittura metafisica. Ovvero, la rivelazione dell’inspiegabile enigma della realtà, e la percezione, come de Chirico scrive ad Apollinaire nel 1916, «che il tempo non esiste e che sulla grande curva dell’eternità il passato è uguale all’avvenire».

Destinatari, oltre al poeta francese, sono, tra gli altri, Papini, Soffici, Tzara, de Pisis, Eluard, Breton, Broglio, Ojetti, Sarfatti, Scheiwiller, i galleristi Paul Guillaume e Léonce Rosenberg, il compositore Alfredo Casella e Carlo Carrà. In rapporto a quest’ultimo, le lettere, prima amicali e via via più ostili, ripercorrono i giorni di uno dei più grandi scandali della storia dell’arte italiana del '900, il cosiddetto «caso Carrà», ovvero il plagio che l’ex pittore futurista fece della pittura dechirichiana, ascrivendola unicamente a se stesso, e arrivando a non menzionare nemmeno una volta il nome di de Chirico nel saggio Pittura metafisica scritto nel 1919. Il flusso delle lettere illustra anche i rapporti con i surrealisti (Breton, Eluard) inizialmente idilliaci, dal 1926 aspramente conflittuali: Breton non perdonò al «Pictor optimus» di aver abbandonato, dopo il 1918, la pittura metafisica.

Ma il pittore non ha dubbi riguardo se stesso: «Se paragono la mia opera a quella dei miei contemporanei mi trovo, senza esagerazioni, superiore ai più; non lo dico per vantarmi». Non ama de Pisis, che ritiene «idiota», stima molto Morandi. Sembrerebbe affettivamente poco generoso con la fidanzata Antonia Bolognesi, che aveva progettato di sposare; è invece capace di effusioni assolutamente liriche con Raissa Gurievic e Cornelia Silbermann. La lettera a Mario Broglio per consolarlo della morte del padre è un brano di letteratura degli affetti del profondo, capace di commuovere. Come pure il rapporto simbiotico col fratello Alberto Savinio, intrinsecamente sempre presente nella mente e nella vita di Giorgio de Chirico.

Giorgio de Chirico. Lettere 1909–1929, a cura di Elena Pontiggia, 444 pp., ill. b/n, Silvana, Milano 2018, € 25,00

«La torre rossa» di Giorgio de Chirico. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

Guglielmo Gigliotti, 22 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

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