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Guido Guerzoni

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Guido Guerzoni

Guido Guerzoni: «I giovani non consumano meno cultura: lo fanno in modi differenti»

Uno studio sociologico commissionata da ABI sul consumo culturale dei nati dal 1990 rivela tutti gli aspetti di un mondo in mutazione


 

Guglielmo Gigliotti

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Guido Guerzoni è il maggior esperto italiano di economia della cultura e gestione strategica dei beni culturali. Per ABI-Associazione Bancaria Italiana ha curato uno studio sul rapporto tra l’arte, la cultura e i giovani: «I consumi culturali delle generazioni Z e Alpha in Italia e all’estero». Lo studio, presentato il 14 ottobre 2025 presso la sede centrale di ABI a Roma, a Palazzo Altieri, in occasione del Festival «È cultura!», ha permesso di sondare usi, consumi e interessi culturali dei giovani nati tra il 1997 e il 2009 (Generazione Z) e quelli nati dal 2010 (Generazione Alpha), investigando in parallelo il sistema di offerta dei luoghi della cultura per questi specifici target anagrafici.

Come nasce questo studio?
Lo studio nasce dall’assenza di analisi organiche e comparative dedicate al sistema dell’offerta culturale e, soprattutto, ai gusti e alla domanda di cultura delle Generazioni Z (1997 - 2009) e Alpha (dal 2010), in Italia e all’estero.  Nonostante la loro centralità numerica e culturale, i gusti, gli interessi dei giovani tra i 7 e i 28 anni restano in larga parte sconosciuti al 90% degli over 40. Si tratta di pubblici che leggono molto ma quasi mai quotidiani o libri cartacei ed ascoltano moltissimo ma privilegiano podcast e contenuti on demand alla radio e alla televisione. Allo stesso tempo mostrano una forte attrazione per concerti, spettacoli ed eventi dal vivo, che occupano un ruolo centrale nelle loro scelte di intrattenimento. Questo vuoto informativo ed interpretativo ha reso necessario avviare uno studio sistematico che permetta di comprendere questi pubblici e di orientare in modo consapevole l’offerta culturale ed educativa delle istituzioni.

Dove ha tratto i dati?
Data la mancanza di studi organici sia in Italia che all’estero sui consumi culturali delle generazioni Z e Alpha sviluppati in un’ottica comparativa, la ricerca ha integrato fonti eterogenee. Le indagini disponibili a livello internazionale risultano infatti frammentate, spesso legate a iniziative accademiche isolate, ricerche di mercato o progetti privi di continuità nel tempo. L’unica fonte strutturata e sistematica è rappresentata dai dati statistici ufficiali, in particolare quelli raccolti e diffusi da Eurostat, che consente confronti affidabili tra i Paesi dell’Unione Europea. Per questo motivo, l’analisi ha adottato una doppia prospettiva: da un lato, lo studio dei consumi culturali nel loro complesso e nei singoli settori attraverso la letteratura esistente; dall’altro, l’approfondimento tramite indagini demoscopiche basate su questionari ed interviste dirette ai giovani. Le principali tipologie di fonti consultate includono: reportistica istituzionale e di settore; studi accademici e non; dati statistici nazionali e territoriali relativi ai consumi culturali e alle principali variabili demografiche; dati europei aggregati a livello comunitario, integrati anche da approfondimenti nazionali.

Quali sono i dati che più l’hanno stupita?
Nonostante la retorica ricorrente sulla pigrizia dei giovani e sulla loro dipendenza dalle tecnologie, i dati parlano chiaro: c’è sì un attaccamento e una forte relazione tra i giovani e le tecnologie che spesso è la causa di disagi (come il fenomeno dei NEET), ma allo stesso tempo è evidente come le generazioni Z e Alpha trainino i consumi culturali del nostro paese e ciò avviene nonostante il forte declino demografico con giovani generazioni sempre meno numerose. Il 70% dei giovani under 25 è stato almeno una volta all’anno al cinema contro il 30% degli over 50; sempre gli under 25 rappresentano il pubblico principale degli spettacoli dal vivo (principalmente i concerti); sono i maggiori frequentatori di luoghi di lettura e leggono molto di più delle fasce più adulte. Anche per quanto riguarda i luoghi della cultura, le due generazioni in esame continuano a rappresentare la maggioranza del pubblico: più del 30% degli under 35 ha visitato almeno un luogo della cultura nell’ultimo anno e non solo: se consideriamo altri stati europei la media sale fino al 50% per Svizzera, Lussemburgo e Danimarca, sottolineando come questo trend positivo di partecipazione giovanile alla cultura sia condiviso nel continente.

Che peso ha il digitale nel rapporto tra giovani e cultura?
Il 97% dei giovani europei under 29 utilizza Internet ogni giorno: per loro è la principale fonte di informazione, molto più di radio e quotidiani, che restano invece punti di riferimento soprattutto per le generazioni più anziane. Attraverso il digitale accedono a servizi di streaming, musica, lettura, acquisti e prenotazioni per eventi dal vivo: oggi gran parte dell’esperienza culturale passa da lì. È importante però sfatare un luogo comune: il digitale non isola i giovani, spesso li connette. Videogiochi, community online, forum e spazi di confronto rappresentano veri e propri ambienti sociali, dove si costruiscono relazioni, identità e nuove forme di partecipazione. Esistono certamente rischi legati all’uso delle tecnologie, spesso poco conosciuti o sottovalutati, ma parlare di «dipendenza» rischia di essere fuorviante. Il digitale non allontana i giovani dalla cultura: la trasforma. E questa trasformazione apre sfide decisive per chi si occupa di contenuti, mediazione e politiche culturali.

La richiesta di cultura, cresce o decresce? 
I dati del 2023 raccontano un Paese dove la partecipazione culturale torna a muoversi, anche se in modo molto diverso tra generazioni. La quota degli «inattivi culturali», cioè chi non partecipa in alcun modo, è scesa di cinque punti percentuali. Un’inversione di tendenza significativa, che però non riguarda tutte le fasce d’età allo stesso modo. Infatti il vero discrimine oggi è generazionale. I giovani partecipano più degli adulti quasi ovunque. Il quadro che emerge è chiaro: la domanda culturale cresce tra i giovani e si contrae nelle fasce più mature. Ne risulta un pubblico che si rinnova, ma che cambia anche linguaggi, abitudini e modalità di fruizione.

Quali sono gli errori che i «boomer» non devono fare nella valutazione degli interessi culturali dei giovani?
Il primo errore che i «boomer» commettono nell’interpretare gli interessi culturali dei giovani è dare per scontato che Gen Z e Alpha non abbiano interesse per la cultura e che sappiano solo armeggiare con smartphone e piattaforme digitali. È un pregiudizio radicato, ma i dati raccontano tutt’altro: nelle fasce 18–24 anni la partecipazione è più alta che negli adulti, mentre l’astensione cresce in modo netto dopo i 55 anni e raggiunge livelli altissimi tra gli over 75. I giovani non consumano meno cultura: lo fanno in modi differenti. Leggono e si informano molto, ma soprattutto online; seguono contenuti autorevoli, ma attraverso podcast, creator e format brevi; e continuano a riempire concerti, festival ed eventi dal vivo, che per loro restano momenti centrali di socialità e scoperta. L’errore di fondo è osservare i loro comportamenti con categorie del passato, scambiando i nuovi linguaggi per superficialità. La tecnologia non ha sostituito la cultura: è diventata uno degli strumenti con cui i giovani la cercano, la filtrano e la interpretano.

La domanda culturale dei giovani trova soddisfacente risposta nei programmi delle istituzioni preposte?
Non del tutto. I dati ICOM mostrano che per il 31% dei giovani il principale motivo di mancata visita è il limitato interesse suscitato dai contenuti proposti. Questo indica che molti programmi culturali non riescono ancora a dialogare con le nuove generazioni né a parlare il loro linguaggio. Rendere l’offerta più rilevante, contemporanea e in sintonia con i loro immaginari è dunque una delle sfide più urgenti per le istituzioni culturali.

Lei è anche docente presso l’Università Bocconi in Heritage, Museums and Digital Cultures: come sta cambiando il linguaggio culturale dei giovani?
L’esperienza come docente universitario permette certamente di apprezzare la grande interconnessione culturale delle nuove generazioni. Specialmente in un contesto fortemente internazionale come l’Università Bocconi, avere a che fare con giovani provenienti da diversi paesi aiuta a rendersi conto che, seppure con Internet si stia creando sempre di più un linguaggio e una cultura cosmopolita, sussistono ancora forti riferimenti culturali nazionali, chiaramente differenti tra loro. Nonostante ciò, la connessione che si crea grazie agli strumenti digitali e alle occasioni di incontro interculturale - come possono essere i luoghi di apprendimento quali le università e le scuole - contribuisce a generare un’apertura dei propri orizzonti grazie proprio allo scambio culturale.

Questa ricerca fatta su commissione di ABI, ha cambiato la sua percezione del rapporto arte/giovani?
È stato interessante vedere ribaltata la retorica che dipinge i giovani come poco interessati e ostili alla cultura, quando invece sono la fascia di età che frequenta maggiormente i diversi luoghi della cultura, dai musei al cinema, dai palazzetti ai teatri. Per quanto rimanga significativa la difficoltà delle istituzioni culturali nell’attrarre e coinvolgere le nuove generazioni, i dati ci mostrano come in realtà il sistema italiano sia comunque frequentato prevalentemente da loro, grazie alle scuole e alle famiglie. Da qui emerge quindi che il problema non sia tanto avvicinare i giovani, ma tenerseli vicini nel tempo e con il passaggio all’età adulta, dove avviene veramente un allontanamento sistemico dalla cultura.

Il mondo cambia, i giovani anche: la cultura riuscirà a stare dietro a queste rivoluzioni?
Il digitale rappresenta la rivoluzione più significativa del nostro tempo e de facto separa le generazioni Zeta e Alpha dai più anziani. L’iperconnessione che caratterizza i giovani nella loro quotidianità, però, non si estende necessariamente anche alla cultura. Ciò che emerge dalle preferenze di consumo culturale degli under 28 è infatti la ricerca di esperienze «reali», e non digitali: i giovani continuano ad apprezzare l’aspetto più materico dell’arte e della cultura, che può rappresentare un momento di stacco dal digitale. Inoltre, è sempre più significativa la cosiddetta experience economy, che risponde alla necessità delle nuove generazioni non solo di consumare prodotti culturali, ma anche di vivere un’esperienza di visita arricchita e curata in tutti gli aspetti, anche al di fuori della sede espositiva stessa. Risulta quindi importante per i luoghi della cultura il potenziamento dei servizi e delle attività accessorie delle proprie sedi, che ne contribuirà all’attrazione delle nuove generazioni.

Quali consigli darebbe a una banca che vuole investire nei giovani e nella cultura?
Le banche hanno la fortuna di contare su una diffusione capillare sul territorio tricolore, raggiungendo anche i centri abitati di dimensioni più esigue - spesso sforniti di un’offerta culturale significativa. Secondo i dati ICOM, infatti, il 16% dei giovani ritiene che la distanza dei luoghi della cultura dal proprio luogo di studio o di residenza sia uno dei principali ostacoli alla loro frequentazione. In questo, le banche dispongono quindi delle risorse e delle infrastrutture per supportare iniziative territoriali di stampo artistico, dedicate specialmente ai giovani. Per fare ciò è importante riconoscere e valorizzare il ruolo delle scuole nell’attrarre le nuove generazioni nei luoghi della cultura; e il contatto e l’ascolto diretto degli interessati, che permette di sviluppare una programmazione adeguata alle necessità dei giovani.

Quali sono i suoi prossimi progetti culturali? 
Sto per pubblicare gli esiti di una ricerca triennale sulla spesa pubblica e privata per la cultura in Italia e all’estero e curando con Beatrice Corti una mostra sulla storia dei tatuaggi devozionali in Italia tra Quattro e Ottocento.

Guglielmo Gigliotti, 25 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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