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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliAl Museo dell’Ara Pacis di Roma, una mostra racconta la nascita della modernità. «Impressionismo e oltre. Capolavori dal Detroit Institute of Arts», aperta fino al 3 maggio 2026, curata da Ilaria Miarelli Mariani e Claudio Zambianchi, permette di vedere in Italia 52 perle di quel discorso sulla liberazione dell’arte dalle leggi dell’Accademia e della Storia. A brillare nel piano inferiore a quello che custodisce il monumento augusteo alla pace del I secolo a.C., sono le immagini concepite da Renoir, Degas, Van Gogh, Cézanne, Redon, Bonnard, Picasso, Soutine, Modigliani, Gris, Nolde, Kokoschka, Kandinskij e altri. Tutte opere che si fecero veicolo di una rivoluzione nella percezione della realtà. Il «Nudo dormiente presso un ruscello», dipinto da Gustave Courbet nel 1845, ad esempio, illustra la commistione di valori luministici antichi e descrizione non filtrata, e per quei tempi sconcertante, della realtà. La «Donna in poltrona», realizzata a pennellate filamentose e sovrapposte da Auguste Renoir nel 1874, anno della prima mostra collettiva del gruppo degli impressionisti, vibra di riflessi di luce quanto di afflato magico e sospeso, che la fa assomigliare a un’apparizione.
Lo stesso vale per il «Ritratto di donna» di Edgar Degas del 1877, con un’accentuazione nell’enigma e nell’intimismo di uno sguardo rivolto verso l’interiorità. Ciò è vero ancor più nel Ritratto virile» di Paul Cézanne del 1865: una data precocissima per quella fissità di sguardo e rigidità di atteggiamento, proprie della sua arte più matura, e di tanta arte europea del secolo successivo. Il passaggio dalla liquefazione della visione alla sua solidificazione è ben tratteggiato da altri dipinti di Cézanne e dalle opere del primo Picasso in mostra, quelle del cosiddetto Periodo Rosa, ma anche da Van Gogh, inebriato dalle possibilità del tratteggiare ritmico e danzante della pennellata. Forme taglienti e colori dissonanti sono quelli che investono espressionisticamente le cose del mondo negli oli di Erick Heckel, Karl Schmidt-Rottluff, Max Beckmann, Max Pechstein e George Rouault. Mentre la realtà che esplode in tutte le direzioni, come uno specchio andato in frantumi, è quella delle scomposizioni cubiste dello stesso Picasso, del connazionale Gris o del più lirico Feininger. La gloria sonante del colore è in Matisse strumento primario di una sintesi della forma che assomiglia a una sua astrazione, ma l’astrazione piena, centrata, e definitivamente liberata, è quella di Vasilij Kandinskij, rappresentato dal suo «Studio per dipinto con forma bianca», un olio su tela del 1913, di 100 centimetri per 88, in cui lo sfolgorio di forme-colore non conosce altra regola se non quella di una poetica e potente fantasia.
Una veduta della mostra «Impressionismo e oltre. Capolavori dal Detroit Institute of Arts» all’Ara Pacis, Roma. Photo: Monkeys Video Lab