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Nel Quirinale con il mio coltellino

Stefano Luppi

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La capitale italiana, per fortuna, non ha subito gli attentati terroristici che hanno funestato Parigi e forse anche per questo la sicurezza nei musei, a una prova pratica, risulta inferiore. Non che il Mibact e gli altri responsabili di musei, mostre e aree archeologiche sottovalutino il problema, ma una recente verifica sul campo di «Il Giornale dell’Arte» solleva qualche dubbio.

Partiamo da un luogo importante e simbolico come il Quirinale, aperto a un flusso quotidiano di pubblico. All’ingresso principale, dove si accede solo con biglietto nominativo, sono presenti i dovuti controlli, ma in un’occasione chi scrive ha superato lo sbarramento con un normale «coltellino» svizzero nella tasca. Che cosa sarebbe accaduto nel caso di qualche malintenzionato? Nel corso della visita alle mostre accolte all’interno, con ingresso separato, si è poi accompagnati da un solo volontario. Chissà se, in caso di emergenza, è formato e reattivo come previsto dai protocolli messi in atto dal personale del Louvre.

Pochi controlli, «svogliati» in alcuni casi, anche alle vicine Scuderie del Quirinale, mentre sono maggiori (non certo «minuziosi» comunque) nella vicina Caserma dei Corazzieri di via XX settembre che si visita da pochi mesi esibendo il biglietto nominativo e superando un piccolo metaldetector. La sicurezza si abbassa notevolmente, quasi ad azzerarsi a parte qualche telecamera, se si visita luoghi importanti come Palazzo Braschi oppure la Galleria Colonna e le Terme di Diocleziano. Per non dire degli spazi pubblici a grande concentrazione di pubblico: non abbiamo visto nessuna forza dell’ordine nelle stazioni della metropolitana, né vicino al Colosseo né al Vaticano. E si sa quanto la percezione di «sicurezza» da parte dei cittadini sia importante. In ogni capitale europea oggi l’esibizione di divise è all’ordine del giorno. Ma non a Roma.

Stefano Luppi, 05 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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Nel Quirinale con il mio coltellino | Stefano Luppi

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