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Mille sfumature di Bianco

Michela Moro

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Si potrebbe dire che «i gusti dei padri ricadono sui figli». Virgilio Gianni era un imprenditore illuminato che nel 1953, grazie a De Pisis, incontrò Remo Bianco (1922-1988), artista vicino allo Spazialismo di Lucio Fontana, al Movimento nucleare e all’ambiente culturale della Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo. Gianni diventò il principale collezionista e mecenate di Bianco, che sostenne tutta la vita permettendogli di seguire le molte strade della sua poliedrica ricerca. 

Riccardo Gianni, figlio di Virgilio, in continuità con l’impegno del padre e con il sostegno della sorella dell’artista Lyda Bianchi, ha costituito nel 2011 la Fondazione Remo Bianco, dove il pubblico può riscoprire un artista intenso, curioso e profondamente legato alla più fertile stagione artistica milanese e italiana, quella degli anni ’50 e ’60.

Remo Bianco è nato a Milano nel 1922 da una famiglia modesta. Ha frequentato i corsi serali dell’Accademia di Brera e fu immediatamente notato da Filippo De Pisis, che rimarrà il suo maestro. L’attitudine di Bianco nei confronti dell’arte è sintomatica dei tempi. Dopo un debutto figurativo iniziò a esplorare altri linguaggi e pratiche artistiche e questa predisposizione a imboccare nuove strade rimarrà un segno della sua carriera.

Pur essendo immerso nell’intensa vita culturale milanese, la sua fu una vita da «ricercatore solitario», come si autodefinì, da battitore libero ed eclettico. Ha sempre lavorato in modo aperto, i suoi cicli si sovrappongono per materiali, tecniche e ricerche. Dalle opere spaziali e nucleari degli anni ’50, caratterizzate da un forte impatto materico, passò all’arte improntale, al recupero della realtà che ci circonda attraverso oggetti di poco valore contenuti in sacchetti di plastica disposti su quadri, i «Sacchettini Testimonianze».

Arrivarono poi le opere tridimensionali, realizzate su plastica vetro e legno, i collage, che nel tempo diventarono assemblage di cotone, jeans, velluto, ritagli di indumenti, e i tableaux dorés, uno dei cicli più noti dell’artista e il più duraturo. Foglie d’oro su sfondi monocromi o bicolori di materiali inattesi come la paglia, compongono espressioni di una «maturità contemplativa», come ha scritto Paolo Biscottini, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione con il fine di studiare e valorizzare l’opera di Remo Bianco.

Anche la scienza affascinò Bianco e ciò si riflette in opere realizzate dagli anni ’60 con lo Sephadex (un gel chimico che divide le sostanze secondo il loro peso specifico), nelle «Sculture Calde» e in altre sperimentazioni, tra le quali sono anche da ricordare i «Quadri Parlanti» e le performance con la sorella Lyda, ballerina classica. «Sicuramente mio padre era interessato all’aspetto molto eclettico e innovatore di Remo Bianco e al fatto che le sue opere più azzardate sono sempre risolte anche esteticamente, afferma Riccardo Gianni, inoltre aderiva in pieno alla visione dell’artista raccolta nella frase: “Certo non posso mai dire sto lavorando a questo, sì, lavoro anche a questo, ma nel frattempo continuano dentro di me le risonanze di altri momenti, di altri periodi che devo portare avanti”».

Michela Moro, 04 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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