Quando uno è figlio d’arte qualcosa impara. Il recente annuncio di Joe Corrè ci obbliga a riflettere. Il figlio di Malcom McLaren, fondatore dei Sex Pistols, icone del punk, e di Vivienne Westwood, la stilista che di quel movimento di protesta è tuttora la madrina, aveva deciso di inscenare a Camden Town un gigantesco rogo di memorabilia. Vestiti, soprattutto, che sono stati stimati circa 5 milioni di sterline, destinati alle fiamme per l’ennesima protesta contro il sistema, in linea con la fede punk che, secondo Corrè, proprio le celebrazioni londinesi per il quarantennale dalla nascita (tra cui una mostra al British Museum), stanno strumentalizzando e soprattutto travisando.

«Non è accettabile trasformare gli oggetti attraverso cui si è perseguita una delle più forti battaglie per l’anarchia in pezzi per un museo del c....»: questa la dichiarazione di Corrè. E allora ha senso chiederci, pensando anche al mercato che fa dei memorabilia un gigantesco business con aste milionarie: quand’è che ha senso musealizzare? Il riconoscimento istituzionale, automatico quando un manufatto entra in un museo e viene presentato al pubblico, implica una forte responsabilità, di cui le stesse istituzioni devono tener conto. Questo vale anche per le mostre di artisti contemporanei in museo, e non solo per gli acquisti con soldi pubblici. Il popolo punk odia le istituzioni, e non vogliamo arrivare a tanto. In più, la conoscenza è sempre una buona compagna per far crescere una società. Quindi non ha senso bruciare un pezzo di storia, qualunque essa sia: i libri censurati, le streghe, l’arte degenerata o le scarpe della Westwood. Però chiediamoci sempre che cosa è degno di essere musealizzato e che cosa no.