Federico Florian
Leggi i suoi articoliReggio Emilia. Anna Conway è una pittrice d’altri tempi. A dispetto della frenesia della società digitale (e di gran parte della pratica artistica contemporanea, in cui l’uso della tecnologia, persino in tecniche tradizionali come la pittura, ha sensibilmente velocizzato il processo creativo), l’artista newyorkese d’adozione, classe 1973, impiega una tecnica lenta, precisissima, analitica fino all’ossessione. È un metodo che implica un costante atteggiamento meditativo, e che porta l’autrice a impiegare mesi per concludere una singola opera (basti pensare che sono solo 25 i dipinti da lei prodotti negli ultimi 15 anni). La Collezione Maramotti, fino al 31 luglio, dedica alla pittrice americana una personale che raccoglie quattro sue nuove produzioni («Devotion», «Determination», «Perseverance» e «Potential», nella foto), oltre a un dipinto del 2013 («It’s not going to happen like that)».
Sotto il titolo di «Purpose» (scopo, obiettivo), l’esposizione presenta tele figurative
le cui scene sono ambientate in luoghi misteriosi e perturbanti come l’interno di un appartamento a New York, un’azienda agricola, un ufficio completamente vuoto e una vasta distesa erbosa su cui riposa una nave da guerra, ciascuno rappresentato in un momento diverso della giornata. La figura umana è assente o in secondo piano: i luoghi (popolati da oggetti spesso improbabili) e il silenzio (evocato dalla vastità degli spazi ritratti o dalla solitudine degli interni) sono i grandi protagonisti di queste opere.
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