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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliÈ quasi impossibile aggiungere parole alle parole estreme scritte da suicidi come ultimo messaggio prima di togliersi la vita. Gabrielle Tinti ha per questo scelto un profilo basso e, nel suo libro Last words, fa dire tutto il dicibile di questo grande mistero delle umane istanze dagli stessi protagonisti, traendo dal web e raccogliendo nel suo libro, edito da Skira, 68 loro dichiarazioni, senza commento. Solo immagini. Sono quelle del ciclo «The morgue» scattate da Andres Serrano nel 1992, aventi a soggetto sempre loro, suicidi. Nei dintorni di questo tema insolubile, si aggirano le parole dello stesso Tinti nell’introduzione, di Derrick de Kerchkove nella prefazione e di Umberto Curi nella postfazione. Per tutti e tre non c’è che da appellarsi a grandi pensatori e scrittori, che hanno provato a dire qualcosa dell’insondabilità della morte che sta nel cuore della vita e della decisione, per taluni, di andarla a trovare di propria sponte. De Kerchkove si affida a La Rochefoucauld: «Due cose non si possono guardare in faccia: il sole e la morte». Umberto Curi cita Jack London: «Se senti arrivare il dolore, fino al punto da sentirti soffocare, non puoi avere dubbi: non è la morte, è la vita».
Gli stoici avevano trovato una soluzione, descritta da Seneca con le parole riportate da Gabriele Tinti: «La Legge eterna non ha fatto niente di meglio di questo: ci ha dato un solo modo per entrare nella vita, ma molte possibilità per uscirne».
Last words, di Gabriele Tinti, 92 pp., Skira, Ginevra-Milano 2016, € 17,00

L'immagine di copertina del volume è «Death unknown», 1992, uno scatto di Andres Serrano dal ciclo «The morgue»
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