Le interviste per Artissima XYZ | Fernanda Brenner

La curatrice della sezione «Present Future» racconta la sezione dedicata agli artisti emergenti che «riunisce artisti le cui pratiche si discostano dalle forme egemoniche di conoscenza e diffidano delle grandi narrazioni dello sviluppo o di qualsiasi tipo di dominio ontologico o politico»

Fernanda Brenner © Everton Ballardin
Filippo Berta |  | Torino

«Present Future» è la sezione di Artissima che coinvolge artisti emergenti a cui le gallerie di riferimento, o anche spazi di ricerca indipendente, hanno chiesto progetti specifici. Attraverso le opere di 10 artisti per 10 gallerie (di cui 8 straniere) la mostra si propone di indagare le nuove tendenze artistiche in rapporto al periodo che stiamo vivendo, proiettando le scelte curatoriali verso un mondo a venire tutto da costruire. Parliamo di questi temi con Fernanda Brenner, curatrice indipendente, che ha curato la sezione insieme a Ilaria Gianni

Nelle parole della direttrice di Artissima Ilaria Bonacossa «L’arte ha sempre agito in un “controtempo emotivo e formale” grazie a intuizioni che anticipano il futuro cambiando le traiettorie di visione della realtà, scalzando i paradigmi e aprendo a interpretazioni e prospettive imprevedibili eppure imprescindibili». In che modo avete deciso di declinare il tema della vostra mostra con quello generale della fiera?
Questi tempi terribili richiedono una significativa riconsiderazione di come ci relazioniamo gli uni con gli altri e con ciò che ci circonda. Un modo di vivere che la maggior parte di noi dava per scontato è stato messo in discussione e si spera lo sarà sempre più di fronte alla crescente crisi ambientale e sanitaria che stiamo affrontando. Questa edizione di «Present Future» riunisce artisti le cui pratiche si discostano dalle forme egemoniche di conoscenza e diffidano delle grandi narrazioni dello sviluppo o di qualsiasi tipo di dominio ontologico o politico. Penso che le linee guida della sezione entrino in risonanza con il tema della fiera: il controtempo come metafora di un cambiamento di prospettiva, un cambiamento di atteggiamento basato su un approccio cinestetico e più olistico alla realtà.

Ritrovo certe analogie tra queste tematiche e quelle analizzate da Federico Campagna nel suo Magia e Tecnica, dove sono citate le teorie di Ernesto De Martino secondo cui nelle comunità arcaiche il ruolo terapeutico di stregoni e maghi era essenziale in particolare nei momenti di incertezza. A loro era affidata la costruzione di un nuovo orizzonte quando quello passato si era ormai sgretolato: «La magia… interviene per fermare il caos emergente, e per risolverlo in un ordine» dice De Martino. In un periodo complicato come questo l’artista può assumere un ruolo sciamanico? Seguendo quali riferimenti avete sviluppato la vostra ricerca?
È interessante che tu abbia fatto questo riferimento! Ci relazioniamo molto con l’approccio di Campagna alla magia come una sorta di antidoto allo sguardo tecnico scientifico che la modernità occidentale è riuscita a imporre come univoco. L’arte e gli artisti possono senza dubbio aprire la strada fuori dai sentieri battuti che ci hanno portati fin qui. Oltre a Campagna citerei anche Silvia Federici e il suo favoloso Calibano e la Strega, che rivela anche oggettivamente l’impalcatura perversa dell’idea neoliberista, carica di tensione, secondo cui lo sviluppo globale in corso garantirebbe la stabilità economica e politica. La tua domanda mi ha anche ricordato una frase di Eugene Ionesco che trovo adatta a questo contesto e alla mostra: «Per staccarci dal quotidiano, dall’abitudine, dalla pigrizia mentale che ci nasconde la stranezza della realtà, dobbiamo ricevere qualcosa di simile a un colpo di randello»; forse la pandemia di Covid-19 lo è stata, stiamo a vedere. In generale, direi che i nostri riferimenti si sono evoluti intorno alla certezza che la via d’uscita da questo modello fallito si trovi molto più in profondità dei dibattiti sulla politica o sull’economia e, in questo senso, immagino che artisti e pensatori del cosiddetto Sud del pianeta, le cui pratiche si svolgono in contesti in cui gli impatti di questa mentalità sono molto palpabili, abbiano molto da aggiungere alla discussione. Ad esempio, gli artisti Tadaskia e Paolo Salvador, entrambi rappresentati a «Present Future», prendono la fantasticheria, il misticismo e il sapere ancestrale indigeno come punti di partenza per discutere allo stesso tempo di questioni urgenti come la violenza razziale, coloniale e la crisi migratoria nonché per sfidare l’idea di una realtà in cui l’uomo è al centro e la natura non è che una risorsa a disposizione della nostra specie.

Nel concept della mostra scrivete una cosa secondo me corretta, ovvero che «la modernità non sopporta la superstizione e spesso ignora ciò che sfugge alla prova scientifica palpabile». Ma anche la scienza sembra stia cambiando le sue modalità di percezione della realtà, e rovesciando completamente il suo punto di vista è stata capace di guardare il mondo sotto una luce diversa. Ora, infatti, la realtà è concepita non come una somma di oggetti ma come un insieme di interazioni. Pensi che la vostra mostra nel suo piccolo, e in generale l’arte possono e devono fare lo stesso?
Penso che ogni mostra sia il risultato di un entanglement di idee e di persone. Possono essere artisti e curatori che lavorano in loco, le persone coinvolte nella produzione e nell’allestimento delle opere nello spazio espositivo e, naturalmente, il pubblico in visita. La magia si svolge nelle relazioni, nell’interazione tra umani, altre specie e ogni sorta di evento. Speriamo che l’incontro di queste opere in Artissima faccia scoccare qualche scintilla.

Present Future è la sezione di XYZ dedicata agli artisti più giovani ed è dunque dato alle nuove generazioni il compito di affrontare le questioni che abbiamo sollevato. Puoi raccontarci in che modo lo hanno fatto?
Sono molto soddisfatto del gruppo che abbiamo messo insieme; penso che tutti, ognuno a modo suo, abbiano già messo a punto un linguaggio visivo forte e siano davvero impegnati a cambiare la lente attraverso la quale vediamo il mondo. Le opere in mostra affrontano il caos del presente senza rinunciare sperimentazioni formali ed estetiche. Sono opere che ruotano attorno a temi come lo sfruttamento delle risorse naturali, gli effetti persistenti del colonialismo, le osservazioni sui limiti della realtà e della coscienza, la linearità del tempo e l’iconografia del dominio.

Contemporaneamente ad Artissima, nel tuo Paese d’origine si sta svolgendo la Biennale di San Paolo dal titolo «Faz Escuro Mas Eu Canto (Though It’s Dark, Still I Sing)». Una mostra che riflette i tempi incerti, di «non-verità» in cui vive il Brasile e che ha assunto una posizione decisa contro il Governo Bolsonaro e in difesa delle popolazioni indigene. Le chiedo un commento sulla situazione brasiliana e sul valore che può assumere l’arte nel suo paese, e se dobbiamo aspettarci di vedere espresse queste tematiche anche a «Present Future».
Il Brasile sta attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia recente, e ce ne sono stati molti. L’attuale Governo populista di estrema destra sta attivamente smantellando le già scarse infrastrutture culturali del Paese perché vede la comunità artistica come sostenitrice dei valori progressisti più di sinistra promossi dal precedente Governo. Il settore culturale è solo la punta dell’iceberg, l’agenda politica di Bolsonaro ha avuto un impatto disastroso sulle politiche ambientali. Sta promuovendo un assalto spietato alla foresta amazzonica e alle comunità indigene, ostacolando i progressi attesi da tempo nei diritti umani, nella lotta alla fame e così via. Immagino che artisti e attivisti non siano mai stati così vicini. Tutto ciò che facciamo e diciamo ora va verso la creazione e la salvaguardia di spazi per la diversità, la vita in comune e il pensiero progressista e critico di fronte all’attuale catastrofe. Gli artisti e le gallerie della nostra sezione sono figure molto attive nel panorama culturale locale.

All’interno dell’Oval e in generale nel contesto di una fiera risulta più difficile esporre artisti che prediligono alcune tipologie di media. Come è avvenuta la selezione considerando anche il rapporto che bisogna intrattenere con i galleristi? Come ti sei coordinata con Ilaria Gianni, cocuratrice della mostra?
Ci sono certamente alcune specificità nel curare una sezione di una fiera. Le scelte sono limitate al programma delle gallerie disposte a partecipare, e c’è un’aspettativa di mercato intorno a ciò che viene esposto. Questo ha imposto alcuni parametri, ma non lo vedo come un problema quando sono abbastanza chiari. Per la prima volta, abbiamo pensato a una singola mostra invece che a una combinazione di stand individuali, il che è molto impegnativo ed eccitante. Per questo abbiamo scelto un tema onnicomprensivo che in qualche modo permea la ricerca di tutti gli artisti ma non rappresenta un limite, nel senso che le opere non fungono da «illustrazioni» di un argomento prestabilito. Per noi, è fondamentale preservare l’autonomia di ogni opera mentre si cerca di stabilire incontri significativi all’interno di un gruppo molto diversificato di artisti provenienti da molti contesti diversi.

Quest’anno Artissima XYZ sarà in una doppia versione fisica e virtuale, dopo l’esperienza dell’anno scorso esclusivamente sulla piattaforma online. Come avete deciso di integrare le due versioni?
Abbiamo tenuto conto delle specificità e delle complementarità di ciascuna situazione. L’online ha una portata diversa ed è una buona piattaforma per divulgare informazioni più approfondite e mirate sulla ricerca dell’artista. Lo spazio fisico è il luogo in cui avvengono gli incontri più significativi, dove si possono vedere dal vivo in tutta la loro complessità (il che è insostituibile) le nostre decisioni curatoriali e le intenzioni dell’artista. Penso che questa sia un’ottima combinazione. Speriamo che molte persone riescano a vedere entrambe le cose.

Speciale Artissima 2021

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