Un particolare di «Testa di Hanka Zborowska», 1917, 54x37,3x8 cm, olio su tela, collezione privat

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Un particolare di «Testa di Hanka Zborowska», 1917, 54x37,3x8 cm, olio su tela, collezione privat

La mostra contestata di Genova

Nessun perito ha finora visto dal vivo le 21 opere incriminate (15 Modigliani e 6 dell’amico pittore Moïse Kisling)

Anna Orlando

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Sono destinate a durare anni, più che mesi, le indagini relative ai presunti falsi Modigliani esposti alla mostra del 2017 a Palazzo Ducale. Tutto ciò in considerazione della posta in gioco, della gravità dell’accusa e del coinvolgimento di diversi soggetti, italiani ed esteri, anche tra i prestatori, impegnati a difendere l’autenticità delle loro opere e dei tre indagati che devono difendere se stessi. Le 21 opere contestate e sotto sequestro preventivo da luglio (15 Modigliani e 6 Moïse Kisling, l’amico pittore che si trovò per primo a fronteggiare la problematica questione dell’eredità del livornese morto prematuramente lasciando orfana la figlia Jeanne) sono attualmente custodite dal Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale a Roma, dopo essere state trasferite a fine luglio da Genova a Bologna, dove sono state temporaneamente «posteggiate» presso i caveaux di Art Defender.

Sono tre gli indagati per truffa aggravata, messa in circolazione di false opere d’arte e riciclaggio: il collezionista e mercante d’arte americano Joseph Guttmann, il curatore della mostra Rudy Chiappini, residente in Svizzera, e Massimo Vitta Zelman, presidente di MondoMostreSkira, che ha coprodotto la mostra con la Fondazione Palazzo Ducale. Quest’ultima è stata confermata dalla Procura come «parte lesa».
Il valore complessivo delle opere è stimato tra 500 milioni e un miliardo di euro (ovviamente in caso di autenticità). Risulta però difficile assicurarle, ora che la polizza per mostra e trasporto è scaduta e che il loro valore è contestato. Ciò ne complica la presa di visione diretta e soprattutto le indagini diagnostiche che, anche nel caso non siano invasive come quelle del prelevamento di pigmenti effettuati dall’accusa, implicano come minimo lo spostamento fisico dei pezzi e il loro maneggiamento. E la difesa (si dovrebbe dire le difese, trattandosi di più proprietari ciascuno assistito dal proprio avvocato), per produrre perizie che contestino le due prodotte dall’accusa (a cura delle storiche dell’arte Isabella Quattrocchi e Mariastella Margozzi), dovrà avvalersi di esperti che necessariamente dovranno vedere le opere. Cosa che non è ancora avvenuta per nessuno dei vari critici che sarebbero coinvolti, tra i quali si sono fatti nomi autorevoli, come Nicholas Serota, già direttore della Tate, e Michael Govan, direttore del Los Angeles County Museum of Art. Oltre all’aspetto meramente economico, è in gioco la credibilità degli storici dell’arte che, alla vigilia del centenario della morte del pittore (2020), hanno affilato i coltelli dello scontro. Da anni è acceso, con reciproche denunce, quello tra i francesi Marc Restellini e Christian Parisot (presidente dell’Archivio Modigliani e autore di un catalogo ragionato dell’artista). Non tutte le opere contestate appartengono a Guttmann: vi sono anche privati (almeno un paio svizzeri) e ciascuno ha nominato il proprio legale. La diversa nazionalità dei soggetti coinvolti (Stati Uniti, Italia e Svizzera) complica la questione e allunga i tempi delle indagini.

La Procura di Genova ha chiesto la rogatoria internazionale a Gran Bretagna, Svizzera e Stati Uniti, ma non conferma il ricevimento di alcun provvedimento da parte di un giudice federale di Houston, Greg Abbott, annunciato pubblicamente da Vittorio Sgarbi («Il Giornale», 21 febbraio), che screditerebbe le perite Quattrocchi e Margozzi proprio grazie alle «controperizie» favorevoli all’autenticità di Serota e Govan, insieme a Glenn D. Lowry e Gianni Papi. In assenza di un contraddittorio non è possibile dichiarare false le opere e quindi distruggerle. Gli avvocati difensori sono in attesa che i rispettivi esperti possano prenderne visione per produrre le perizie di parte. Probabilmente contesteranno quelle di Quattrocchi e Margozzi, basandosi sulla possibilità che le due storiche dell’arte non abbiano requisiti di esperienza sufficienti per la specificità della materia, ed è plausibile che chiedano di chiarire innanzi tutto la questione delle datazioni, lasciando in secondo piano l’aspetto attributivo (cioè legato allo stile, che non sarebbe congruo con opere sicuramente autografe). Il bianco di titanio (che si sarebbe rintracciato in alcune opere) in passato era considerato una prova per accertare un falso anche nello specifico di opere di Modigliani; ma si è dimostrato che era stato brevettato nel 1913 (e utilizzato anche prima del brevetto), e dunque non pregiudicherebbe opere potenzialmente autentiche. La ricerca di una prova certa a favore della non autenticità di un’opera potrebbe rivelarsi lunga o destinata a fallire. Certamente determinerà indagini assai più lunghe di quanto si potesse immaginare.

Un particolare di «Testa di Hanka Zborowska», 1917, 54x37,3x8 cm, olio su tela, collezione privat

Anna Orlando, 13 aprile 2018 | © Riproduzione riservata

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