La cronaca del 2020: un percorso a ostacoli con gli occhi bendati

Un anno segnato da fiere annullate, perdita di posti di lavoro e una nuova coscienza sociale generata dal movimento Black Lives Matter, ma anche dalla volontà di rinnovarsi

Il messaggio di Detroit Jammie Holmes
Anna Brady |  | Londra

Si potrebbero usare molte parole per descrivere il 2020. Poche sono pubblicabili. «È stato come fare un percorso militare bendati», ha dichiarato Melanie Clore, cofondatrice della società di consulenza artistica Clore Wyndham. A gennaio-febbraio il Coronavirus veniva, a torto, considerato in Occidente come un problema asiatico. La domanda principale era se Art Basel Hong Kong, in programma per fine marzo, sarebbe stata annullata (così è stato). Frieze LA si è svolta a febbraio come previsto, così come la Armory Week di New York a marzo, e il 5 marzo collezionisti e mercanti praticavano scherzosamente il cosiddetto «saluto di Wuhan», piede a piede, all’apertura di Tefaf Maastricht. Meno di una settimana più tardi, la fiera e circa 280 gallerie venivano chiuse dopo la scoperta di un espositore positivo al virus.

Più di 100 persone potrebbero aver contratto il Covid-19 alla fiera olandese, alcune delle quali finite in terapia intensiva. Gli organizzatori della fiera hanno dovuto affrontare il contraccolpo, in un’atmosfera di emotività accentuata dalla paura e dalla vulnerabilità che normalmente non toccano l’esclusivo mondo dell’arte.

Da allora il mercato è precipitato di botto. Le fiere sono cadute come tessere del domino: Frieze New York a maggio e Art Basel a giugno sono state spostate a settembre e poi cancellate. Gli appuntamenti autunnali come Frieze London hanno seguito lo stesso destino, insieme ad Art Basel Miami Beach questo mese.

E le cose non sembrano migliori per il 2021: Tefaf Maastricht è stata rinviata da marzo a fine maggio-giugno, Art Basel Hong Kong da marzo a maggio e Frieze LA da febbraio a luglio. Tutto il settore che gravita intorno a questi eventi ha dovuto reinventarsi in un mondo in cui ora le occasioni di incontro sono un anatema. Come sottolinea Anders Petterson, fondatore della società di analisi ArtTactic, questi eventi sono di fondamentale importanza come trascinatori del mercato dell’arte, quindi «si devono trovare nuove modalità, altrimenti diventa un mero spazio commerciale». Il problema è che il «commercio al dettaglio» è considerato troppo cheap. Anche per questo molte gallerie sono restie ad adottare la funzione «buy it now» ormai onnipresente nelle viewing room online.

Mentre alcune parti del mercato sembrano essere diventate più democratiche con il digitale, quelle più esclusive si sono trincerate dietro a vendite virtuali private. È il caso, ad esempio, della «Grande Femme I» (1960) di Giacometti: proposta da Sotheby’s a ottobre in un’asta a cui si partecipava con offerta in busta chiusa e base minima di 90 milioni di dollari, pare sia stata venduta. Ma la casa d’aste non rivelerà il prezzo: resta la pubblicità ma senza i rischi di un’asta pubblica.

Soluzioni varie sul breve periodo (le viewing room e le aste in streaming in particolare) sono diventate prassi permanente. Il direttore globale di Art Basel Marc Spiegler spiega che aver dovuto cancellare tutte le tre fiere del marchio nel 2020 è stato «straziante». Ma «la rapida digitalizzazione» del mercato e «le collaborazioni senza precedenti» tra gallerie e altri operatori ingenerate dalla pandemia lo hanno rincuorato. E anche se sono pochi gli eventi ad aver avuto regolare corso, nessuno si è ancora preso una pausa vera e propria, come ha spiegato l’economista Clare McAndrew.

Mentre il settore cerca di recuperare le perdite, si sono tenute aste serali ibride trasmesse anche in streaming con cadenza mensile a partire dalla prima incursione sul web di Sotheby’s a giugno. Le aste di opere d’arte di Christie’s e Sotheby’s hanno subito un calo del 50% per valore (il 20% per volume) nella prima metà del 2020, ma entrambe le case d’asta hanno recuperato terreno nel terzo trimestre, normalmente piuttosto calmo, e le rispettive aste online sono cresciute di più del 900%, dal 2% rispetto alle vendite totali del 2019 a più del 50% quest’anno.

Ma bisogna tener conto del fatto che i totali delle aste serali in streaming di Sotheby’s e Christie’s sono circa il 50% in meno rispetto alle loro equivalenti «reali», non male come soluzione a breve termine, ma molto preoccupante se diventa una tendenza sul lungo periodo. La McAndrew stima un crollo del mercato del 30-40% per il 2020, «un anno molto duro, con una perdita sostanziale nel valore delle vendite». Il suo report sull’impatto del Covid-19 sul settore delle gallerie, pubblicato a settembre da Art Basel/Ubs (cfr. n. 411, ott. ’20, p. 74), ha rivelato un calo medio delle vendite delle gallerie del 36% nella prima metà dell’anno, con una chiusura definitiva del 2% delle attività (dato destinato molto probabilmente a salire).

Le gallerie meno conosciute e i loro artisti non hanno più neanche la possibilità di essere scoperti casualmente in fiera dai collezionisti; la visibilità online è piuttosto limitata e, come lamenta la consulente d’arte Emily Tsingou, «non è facile scoprire un nuovo artista o una nuova “voce”». Il mercato secondario è alimentato dall’offerta e nessuno vuole vendere la sua arte durante una pandemia a meno che non vi sia costretto. Ci sono state alcune vendite «d’emergenza», come le opere della collezione della British Airways disperse da Sotheby’s, diverse opere blue-chip vendute dal proprietario della Revlon Ronald Perelman, oltre a numerose altre cedute, spesso tra forti polemiche, da musei con l’acqua alla gola (in gran parte statunitensi).

Le gallerie più famose, come Pace e David Zwirner, e le case d’asta hanno operato dei tagli al personale e Guillaume Cerutti, amministratore delegato di Christie’s, ha detto che si è trattato di «un anno molto difficile per tutti» che ha creato «la necessità di una ristrutturazione che ha portato alla separazione, prima del tempo, da numerosi e amati colleghi». L’impatto sull’occupazione emerge dal report di Claire McAndrew da cui risulta che un terzo delle 795 gallerie di arte moderna e contemporanea intervistate stava già riducendo il personale.

Le conseguenze sono particolarmente pesanti per lo staff più giovane e i molti freelance che fanno girare il mercato dell’arte; Victoria Siddall, cda di Frieze, spiega che la crisi ha colpito «chi si occupa della comunicazione, gli spedizionieri, i tecnici... C’è tutto un ecosistema di professionalità coinvolte nella crisi».

Nel frattempo, una maggior consapevolezza e controllo ha portato diverse gallerie a indagare su presunte cattive condotte di alcuni membri dello staff senior; è il caso di Gagosian che a novembre ha interrotto la collaborazione con il direttore Sam Orlofksy, accusato di comportamento «inaccettabile e ripugnante» in particolare contro le donne. La pandemia ha esacerbato la debolezza e gli eccessi sistemici del mercato dell’arte.

Stuart Shave, proprietario della Modern Art Gallery di Londra, spiega che, anche se il volume d’affari è in calo, i margini di profitto della sua galleria «sono significativamente aumentati, in qualche mese addirittura quadruplicati rispetto all’anno precedente». Questo, secondo Shave, la dice lunga sulle «conseguenze economiche della partecipazione al mondo internazionale dell’arte pre pandemia».

Alex Logsdail, direttore della Lisson Gallery, afferma che «persino nella “buona” economia pre Covid, il mondo stava vivendo ai limiti delle sue possibilità, non c’erano margini di errore e un desiderio senza fondo di avere sempre di più». Emozioni amplificate hanno portato in primo piano questioni latenti, in particolare le discriminazioni razziali in un mercato dell’arte «bianco».

Quando a maggio sono iniziate le proteste legate al movimento Black Lives Matter, molte gallerie hanno espresso la loro solidarietà, ma altri le hanno criticate, come KJ Freeman della galleria Housing di New York, che le ha definite alla stregua di atteggiamenti da radical chic. «Una cosa è assumere una persona di colore, un’altra cercare di darle un ruolo di leadership; un’altra ancora darle la possibilità di guidare la galleria», ha aggiunto la mercante statunitense Karen Jenkins-Johnson.

Se quest’anno gli affari sono stati per un breve periodo sotto il vento favorevole pre Covid, il 2021 sarà la reale cartina di tornasole della crisi, anche se un vaccino dovesse consentire di ripartire con fiere e altri appuntamenti in presenza. Il consolidamento è inevitabile e, secondo Petterson, «Le gallerie più solide, gli artisti più noti e le case d’asta più grandi se la caveranno; è il settore intermedio del mercato, quello con alti costi fissi, che sarà in sofferenza».

Ma i collezionisti non hanno smesso di comprare e alcuni considerano un loro dovere commissionare opere, come la torinese Patrizia Sandretto Re Rebaudengo che si concentra su video Covid friendly e Land art. Il mercato dell’arte ha dovuto operare in grande difficoltà ma ora si sta adattando alla nuova situazione, con una velocità di autoanalisi senza precedenti. Ora abbiamo solo bisogno di un po’ di pace.

© Riproduzione riservata Il messaggio di Detroit Jammie Holmes
Altri articoli di Anna Brady