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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliE sì che gli artisti ci avevano avvertiti: ora sembra che ogni tipo di informazione sia accessibile a tutti, ma siamo sicuri che questo sia garanzia di verità? Da subito, dagli albori di «internet per tutti» alcuni di loro si posero il problema della ridefinizione dei confini tra reale e virtuale, tra verità e finzione.
Tra i primi, il coreano Park Chan-kyong, classe 1965, protagonista della transizione del video d’arte da strumento di documentazione a codice narrativo, sino alla sua osmosi con il cinema: il suo corto «Night-Fishing», girato con due iPhone, nel 2011, vinse l’Orso d’Oro a Berlino, diventando un cult, la risposta «artistica», in cui horror e comicità fanno gioco di sponda, al blockbuster «The Blair Witch Project» del ’99.
Berlino è diventata la città adottiva dello statunitense Slater Bradley (1975), che abbina video e pittura, ready-made e sue creazioni. Ha in comune con il suo collega coreano la familiarità con la dimensione dell’inconscio e della spiritualità, che in Park Chan-kyong, nel film citato, assume caratteri sciamanici nel dialogo tra vivi e morti, mescolando tragedia e commedia, memoria e visione.
Gli ultimi due elementi caratterizzano anche il lavoro di Grazia Toderi (1963), che si colloca tra i due, alla luce di un comun denominatore, la compresenza tra documento e visionarietà. «Making Time», questo lo sfaccettato titolo della mostra, mette insieme questi tre autori impegnati su uno dei coefficienti di riconoscimento o di messa in crisi della realtà, vale a dire il tempo.
Lo ha scelto Lorenzo Bruni, curatore della rassegna proposta dalla Galleria Poggiali dal 29 settembre al 15 dicembre. Fiaba e apocalisse, memoria individuale (la Toderi colloca la trasmissione televisiva del primo sbarco sulla Luna nel 1969 tra gli eventi che costituirono l’imprinting della sua infanzia) e testo visuale documentaristico, animano la straordinaria «Red Maps» (1917), cinque visioni aeree urbane e rotanti la cui sovrapposizione offre la possibilità di intraprendere percorsi altrimenti impossibili (alla faccia dell’obiettività invadente di Google Map) tramite una sorta di mappa cangiante. «Sequoia» (2013) di Bradley è una doppia immagine in cui si verifica un altro tipo di sovrapposizione, tramite la combinazione di scene tratte dai film «Vertigo» di Alfred Hitchcock e «La jetée» di Chris Marker, con un paesaggio urbano affiorante da un suo film del 2011 e la compresenza di elaborazioni materiche effettuate su un’icona come il David di Michelangelo, attraverso le quali frantuma l’appiattimento dell’«immagine condivisa».
Lo stereotipo della Corea del Nord, la cui immagine è generalmente associata al bellicoso regime di Kim Jong-un è invece ribaltato nel video «Child Soldier» (2017) di Park Chang-kyong, dedicato al tragico destino di un soldato bambino: un altro esempio della potenzialità dell’arte di presentare la realtà in maniera meno parcellizzata e standardizzata. A contorno, immagini di città e visioni cosmiche in opere a parete. Da non perdere, in questa mostra che spazia su più linguaggi, inclusi collage e fotografia, la serie di disegni del 1997 di Grazia Toderi.

Particolare di «Child Soldier» (2017-18) di Park Chan-kyong
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