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I comitati di valutazione nelle fiere sono una garanzia tanto per gli acquirenti quanto per gli espositori. Nella foto una veduta di uno stand a Tefaf Maastricht del 2020. Foto Luis Alegría Lda

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I comitati di valutazione nelle fiere sono una garanzia tanto per gli acquirenti quanto per gli espositori. Nella foto una veduta di uno stand a Tefaf Maastricht del 2020. Foto Luis Alegría Lda

Il vetting, giudice supremo delle fiere

Istituiti per la prima volta a Londra nel 1934, i comitati di valutazione delle opere sono una garanzia tanto per gli espositori quanto per gli acquirenti. Temutissimo quello di Tefaf Maastricht: 220 esperti, una Babele linguistica e di saperi

Michela Moro

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Quello che il pubblico vede nelle fiere è solo la punta dell’iceberg di un lavoro di lunga preparazione. Nel caso di molte mostre mercato, come a Tefaf (nelle sue sedi di Maastricht e New York), Frieze Masters e Biaf, sotto la superficie lavora il Vetting Committee, il comitato di «controllo qualità» che prima dell’apertura passa al vaglio tutte le opere esposte.

Adottato per la prima volta a Londra da The Grosvenor House Art & Antiques Fair nel 1934, il Vetting Committee è stato uno dei motivi del successo della fiera che offriva, rigorosamente controllati, gli oggetti più belli e autentici a garanzia della qualità sia per i compratori che per gli espositori.

Il più famoso è quello di Tefaf, a Maastricht, quest’anno dall’11 al 19 marzo. Pilastro della fiera dal 1975, il Vetting Committee, temutissimo e molto rispettato, oggi consta di circa 220 accademici, curatori, conservatori, scienziati della conservazione e studiosi indipendenti, rigorosamente divisi in gruppi specializzati che includono tutto lo scibile e coprono settemila anni di opere d’arte, a fronte di 268 gallerie espositrici.

Nei giorni che precedono l'apertura, senza che il gallerista sia presente nello stand, i comitati, che hanno regole precise e operano a porte chiuse, conducono un meticoloso esame su ogni pezzo, sulla sua autenticità, condizione e attribuzione, per garantire che l’oggetto possa essere esposto. Le opere sono accettate solo una volta approvate dal vetting. Viene poi effettuato un ulteriore controllo per verificare che sulle didascalie siano apportate le eventuali modifiche richieste, anche qui secondo regole ferree. Non mancano gli scambi, i dubbi e le discussioni, a volte accese, tra i vari esperti.

Global Chairman of Vetting di Tefaf è Wim Pijbes, ex direttore generale del Rijksmuseum di Amsterdam; Charlotte Veenhuijzen è la direttrice del Vetting di Tefaf Maastricht. «Le esigenze sono rimaste quelle originarie, dice Veenhuijzen, ma oggi ci sono molti altri aspetti. All’inizio si giudicava la qualità o l'importanza di un oggetto, ora entrano in gioco anche la provenienza, il buon titolo, le condizioni ecc. Abbiamo un team di ricerca scientifica che può fornire ulteriori approfondimenti e siamo stati i primi, nel 2000, a incorporare l’Art Loss Register, che controlla gli oggetti guardando al proprio database di oggetti rubati e rimuove quelli segnalati come rubati o ad esempio al centro di una rivendicazione di saccheggio dei nazisti. Il controllo è lì per proteggere il nostro acquirente, ma anche l’espositore e la comunità. Durante il vaglio le opere possono ottenere un’attribuzione o una datazione più dettagliata, ad esempio, e questo potrebbe aumentarne il valore o l’importanza. Tutto grazie a un gran numero di esperti provenienti da tutto il mondo che si riuniscono e condividono informazioni e conoscenze».

I ruoli dei vari commissari sono cambiati nel tempo, poiché la fiera copre più discipline. «Abbiamo rimosso i membri del settore dai comitati per garantire che il processo fosse il più trasparente possibile», prosegue Veenhuijzen. I ruoli dei comitati di vetting sono separati da quelli dell’ammissione. I comitati di selezione della fiera riflettono sul feedback del vetting, ma selezionano i partecipanti e non giudicano i singoli lavori; ciò consente di essere il più imparziali possibile valutando ogni oggetto in ogni stand, piuttosto che influenzati dal processo di selezione o dalla reputazione del rivenditore.

L’importanza del Vetting Committee è testimoniata dai fatti: «Spesso i membri del vetting, specialisti nel proprio campo, “scoprono” il prossimo capolavoro: oggetti ovviamente di alta qualità ma forse senza un’attribuzione diretta. È meraviglioso quando un esperto può aggiungere l’ultimo pezzo al puzzle, ed è successo in un paio di occasioni anche nell’edizione di giugno 2022. Il riunirsi di così tanti esperti non ha prezzo, durante i giorni di valutazione viene condivisa molta competenza e quindi si realizzano molte scoperte. Tutte le discipline ricevono la stessa attenzione, ma alcune aree richiedono maggiore attenzione sul tema della provenienza, ad esempio le antichità per rivendicazioni di beni culturali, e altre su condizione, ad esempio gli arredi».

Anche l’arte contemporanea, cruciale in altre fiere, ha regole precise: «Abbiamo linee guida specifiche per ogni disciplina, chiarisce Veenhuijzen. Quelle per l’arte moderna e contemporanea includono la garanzia che l'artista o il suo rappresentante abbiano verificato l’autenticità dell’opera d’arte e/o autorizzato una vendita». Questi criteri potrebbero essere applicati a tutte le fiere? «In linea di principio sì. Tutte le fiere possono sforzarsi di raggiungere gli stessi requisiti di qualità o rilevanza internazionale: le nostre linee guida riflettono i nostri obiettivi. Inoltre, dobbiamo rispettare la legge olandese ed europea». Le valutazioni dei comitati possono riflettersi sui prezzi delle opere esposte? «L’espositore decide il proprio sistema di prezzi, ma la richiesta può variare se un pezzo riceve molta attenzione o ha avuto un’ottima recensione», conclude Veenhuijzen.

Mauro Natale, professore emerito di Storia dell’arte moderna all’Università di Ginevra e conservatore delle raccolte artistiche della famiglia Borromeo, fa parte del vetting di Tefaf da una decina d’anni, e pensa che contino, anche se pare cosa contraddittoria, la familiarità e l’indipendenza rispetto al mercato antiquario, ovviamente oltre la competenza: «È sbalorditivo e affascinante rendersi conto che dello stesso gruppo fanno parte storici dell’arte, esperti, direttori di musei con formazioni e esperienze radicalmente diverse: in questa specie di Babele linguistica e dei saperi, ognuno contribuisce con la propria competenza, riflette Natale.  Certo il modo di guardare i dipinti fiamminghi del Seicento e quelli italiani del medesimo secolo differisce radicalmente. Ho imparato molto dalle interminabili discussioni davanti ai paesaggi boschivi di Paul Brill o alle minute allegorie di Jan Brueghel».

Incarico appassionante ma non scevro di difficoltà: «All’inizio il gruppo, composto da quasi una quarantina di persone, procedeva troppo a rilento; così gli organizzatori della fiera hanno deciso di dividere il comitato degli Old Masters: da un lato gli esperti della pittura settentrionale, dall’altro quelli della pittura dei Paesi mediterranei. La separazione ha certamente agevolato il lavoro anche se il superamento della frontiera è una tentazione costante per ognuno di noi, e non è raro che opere nate sul discrimine culturale tra Nord e Sud sollecitino la competenza di entrambi i gruppi di esperti. Nella maggior parte dei casi il giudizio può essere formulato senza incertezza, ma ci sono state e ci saranno sempre opere che presentano aspetti enigmatici, quasi irrisolvibili alla luce delle competenze personali e delle conoscenze allo stato attuale degli studi, riconosce il professor Natale. Sono casi rivelatori delle difficoltà che comporta la storia dell’arte e che rendono appassionanti le indagini e il nostro mestiere. I dibattiti sono spesso animati: in alcuni casi si giunge alla soluzione del mistero, in altri le opere resistono ad ogni tentativo di interpretazione.

Adottiamo allora formulazioni sfumate, come “scuola di” o “attribuito a”, che allertano sulla difficoltà di giungere ad un giudizio definitivo e che testimoniano il valore sostanzialmente relativo delle nostre conoscenze. L’esperienza è in ogni caso avvincente, perché ad ogni tappa ognuno di noi è confrontato all’opera d’arte, alle competenze dei colleghi e ai giudizi degli espositori. Le reazioni a questa delicata alchimia sono talvolta imprevedibili: i galleristi difendono le proprie proposte, in alcuni casi in modo convincente, in altri senza successo. Alcune personalità più sanguigne non riescono a frenare il loro disappunto e lo esprimono apertamente. Ho avuto in passato alcuni scontri verbali davvero violenti ma negli ultimi anni queste dispute sono diventate rarissime anche perché gli espositori si sono adeguati alle esigenze di rigore e di qualità che impone la fiera, e nei casi in cui le divergenze di opinioni siano inconciliabili preferiscono ritirare l’opera oggetto del contendere».


Nella carriera di un accademico la partecipazione a un comitato vetting di questo calibro diventa agli occhi dei mercanti o dei collezionisti una garanzia supplementare della qualità dell’esperto: «Non credo di essere mai stato avvantaggiato da questo ruolo che peraltro svolgo con discrezione; o di essere stato consultato perché membro della commissione, riflette Natale. Devo riconoscere che l’emozione più forte si prova quando si scopre un’opera di qualità fino ad allora sconosciuta o nel ritrovare un dipinto rimasto a lungo nascosto o dimenticato. Non è solo il Tefaf di Maastricht che procura queste emozioni, ma certo le occasioni di riscoperte in quel contesto sono più numerose che altrove. Se venissero a mancare queste novità, grandi o piccole che siano, l’attrattiva della fiera sarebbe certamente minore».

Come si diceva, non è solo Tefaf a lavorare con il Vetting Committee, anche la Biaf, la Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, ne ha uno molto rigoroso, sulle orme di Maastricht e delle fiere internazionali, che consta di una cinquantina di esperti a fronte di circa ottanta espositori. Lo storico dell’arte Francesco Leone da circa otto anni ne fa parte in due diverse commissioni: scultura e pittura, di Arte Neoclassica e dell’Ottocento. «Siamo prevalentemente studiosi di ambito accademico, docenti di tutte le università italiane o esperti acclamati, spiega Leone; talvolta, come nel caso delle arti decorative, ma anche della pittura, nel vetting c’è anche un restauratore, molto importante per le indagini diagnostiche, al fine di capire in sintonia e dialogo con gli studiosi anche lo stato di conservazione delle opere».

Il modus operandi è simile e per un paio di giorni, a fiera ancora chiusa, ogni commissione visita tutti gli stand: «A seconda dell’opera si dà maggior credito alla voce dell’esperto di quel settore, ma poi essendo tutti storici dell’arte si crea, soprattutto nei casi più complicati, una decisione di carattere collegiale. Diventa un momento per dare dei suggerimenti diversi rispetto a quello che il mercante, chiaramente in buona fede, credeva. Quindi, prosegue Leone,  può accadere sia che la commissione approvi quel che è stato scritto nelle didascalie dagli antiquari; oppure può succedere che ritenendola tutti un’opera di qualità, si diverga sull’attribuzione; altre volte capita che un’opera venga segnalata come mal attribuita o semplicemente non nell’interesse della fiera. Si è chiamati infatti a giudicare l’autenticità e l’autografia delle opere, ma anche a capire se il loro stato di conservazione e il livello qualitativo siano ritenuti all’altezza del livello generale della fiera. È un momento molto stimolante, di confronto sul campo: interfacciarsi concretamente con un’opera d’arte è tutto quello che uno studioso vuol fare. Lo penso come un grande movimento di supporto rispetto ai mercanti e naturalmente ai collezionisti».

A fine vetting, se ci sono delle divergenze con i mercanti questi hanno il tempo di fare una rimostranza scritta e di sottoporre nuovamente l’opera al giudizio  del comitato di valutazione, fornendo magari informazioni in più, un’ulteriore expertise o una storia collezionistica che può aiutare a chiarire la propria posizione.

Il gallerista Marco Voena è co-chairman degli esperti di Biaf, e chairman della pittura antica dell’Ottocento, nonché il contraltare dei galleristi nei comitati: «Cerco di aiutare a risolvere le problematiche: i professori tendono a disattribuire, o a dare delle specifiche nuove, che però devono essere gradite anche al mercante; e il mercante a sua volta deve spiegare la propria posizione. Alla Biennale c’è stata qualche discussione su dei quadri del Settecento che si è protratta fino a prima dell’inaugurazione. Ci sono state molte votazioni, si è continuato a discutere col mercante, il consiglio si è riunito più volte, poi siamo riusciti a trovare una soluzione soddisfacente. Sono soprattutto i galleristi di una certa età che non amano molto questi giudizi esterni, ma dal momento che espongono anche alla mostra di Maastricht conoscono le regole.  Quaranta o cinquant’anni fa c’era lo “shake hands”, la stretta di mano, oggi c’è un contratto, e firmandolo si accetta il giudizio esterno di una commissione di esperti. Le giovani generazioni guardano molto di più a questo tipo di specifiche, e si sentono confortate dai giudizi del vetting in merito all’autenticità».

Il mercante è anche uno studioso, ma non è un accademico, e questo a volte complica le cose. Voena, che è al tempo stesso uno studioso esperto del Seicento e un mercante, conosce bene questi problemi e dinamiche: «C’è un lavoro di ricerca che fai con lo studioso. Quando tu fai una scoperta poi cerchi riconoscimento; le scoperte storico tecniche sono più facili, ma quando si tratta di attribuzioni di quadri, per esempio del ’600, dove non ci sono firme, è necessario che gli esperti siano concordi all’unanimità, che tutti, dall’America all’Europa, ti confermino l’attribuzione, e dicano “si, è quell’artista li”». Questo determina poi un diverso valore del quadro. «L’autenticità attributiva consente di godere di una certa tranquillità anche economica, in quanto si è allocata l’opera nella storia dell’arte e si è ricostruita la biografia dell’artista aggiungendo un ultimo tassello al mosaico del passato; sarà poi il mercato a determinarne il prezzo

Dicevo della discussione che abbiamo avuto a Biaf: il quadro era stato pubblicato come giusto, ma alcuni sostenevano che il vecchio studioso cui si doveva l’attribuzione fosse un po’ superato, alcuni quadri su cui lui si era espresso favorevolmente sono ora ritenuti sbagliati… Ecco l’importanza scientifica di questi commenti: il comitato sono gli esperti del momento che hanno studiato ad oggi i quadri, e qualcosa cambia sempre, spesso nuovi documenti sono stati scoperti. Con l’idea della storia sociale dell’arte è cambiata la visione più scientifica, la scienza della conservatorship. Invece i comitati dei vetting continuano a dare importanza proprio a quella».

I comitati di valutazione nelle fiere sono una garanzia tanto per gli acquirenti quanto per gli espositori. Nella foto una veduta di uno stand a Tefaf Maastricht del 2020. Foto Luis Alegría Lda

Michela Moro, 02 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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