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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliRoma. Come se non bastasse la sentenza del 25 maggio scorso che ha decapitato cinque dei venti grandi musei (la prima tranche) resi autonomi dalla riforma Franceschini avviata nel 2015, aprendo una possibile e pericolosa reazione a catena, la stessa sezione del Tar del Lazio fa saltare anche l’ultimo tassello che ha ridisegnato l’intero sistema museale statale, quel Parco archeologico del Colosseo nato lo scorso gennaio e del quale è annullata, di conseguenza, anche la gara internazionale per sceglierne il direttore, il cui nome si aspettava per fine mese. Come la volta scorsa il ministro è letteralmente furioso e come la volta scorsa è immediato il ricorso al Consiglio di Stato per cercare di bloccare la sentenza del tribunale amministrativo.
Sembra di sentire la sindaca Virginia Raggi e il vicesindaco e assessore alla crescita culturale Luca Bergamo, che dopo aver presentato il ricorso oggi infatti esultano: «La nuova configurazione, si legge nella sentenza, avrebbe comportato la perdita per la città di Roma di gran parte dei proventi del Colosseo». Non solo. Secondo il Tar le norme non danno alcun potere generale di riorganizzazione anche degli uffici dirigenziali generali al ministro, ma un potere organizzativo limitato a consentire la soppressione, la fusione o l’accorpamento di uffici, in funzione di particolari esigenze tra le quali anche quella di «garantire il buon andamento dell’amministrazione di tutela del patrimonio culturale».
Le bocce ora si fermano e Francesco Prosperetti rimane al vertice della Soprintendenza speciale per il Colosseo, come prima. Franceschini è sconsolato: «Fatico a capire perché 31 musei e parchi archeologici, dagli Uffizi a Pompei alla Reggia di Caserta, vadano bene e il 32esimo, giuridicamente identico agli altri, invece no».
Intanto il 15 giugno si aspetta la pronuncia del Consiglio di Stato sullo stop ai cinque direttori dei supermusei.
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