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Il moderno nasce induista

Se la percezione ottica dei colori è un fenomeno identico per tutto il genere umano, i significati, le sensazioni e le simbologie a essi associati cambiano con il mutare di epoche e culture. Da questo presupposto nasce l’ambiziosa rassegna «L’emozione dei colori nell’arte», curata da Carolyn Christov-Bakargiev con Marcella Beccaria, Elena Volpato ed Elif Kamisli e allestita dal 14 marzo al 23 luglio nel Castello di Rivoli e nella Gam, dove sono esposte quattrocento opere di 125 artisti realizzate da fine Settecento a oggi, provenienti da musei tra cui Reina Sofía (Madrid), Tate Britain (Londra), Centre Pompidou (Parigi), Stedelijk Museum (Amsterdam) e Dia Foundation (New York).

Con la consulenza del neuroscienziato Vittorio Gallese e dell’antropologo Michael Taussig, la direttrice delle due istituzioni propone una chiave di lettura multidisciplinare che apre nuove prospettive nella storia dell’arte moderna, la cui origine viene in qualche modo ricollegata alla tradizione dei disegni indù tantra, documentati con una selezione di esemplari del XVIII secolo: caleidoscopiche, variopinte raffigurazioni del cosmo e dello spirito. Più o meno nel medesimo periodo, in Occidente, gli studi sullo spettro luminoso di Newton influenzarono le sperimentazioni sulla mutevolezza della luce magistralmente condotte da William Turner, di cui figurano in mostra tre acquerelli.

Ma la rivelazione della rassegna sono 21 gouache eseguite dai teosofi Annie Besant e Charles Leadbeater nel 1897-1904 per dare forma alle energie psichiche descritte nel loro libro Le forme del pensiero (1905): una serie di composizioni geometrico-cromatiche scoperte nel 2015 che anticipano la nascita dell’Astrattismo di una decina d’anni. La mostra prosegue poi con una vertiginosa carrellata che va dalle esperienze post-impressioniste di Matisse alle composizioni reticolari di colori primari di Piet Mondrian, dalle sinestesie cromatiche di Klee e Kandinskij agli studi sulle «Compenetrazioni iridescenti» di Giacomo Balla, dalle sperimentazioni optical di Victor Vasarely alle sovrapposizioni digitali di Thomas Ruff, dalle oscillanti monocromie di Enrico Castellani alle rigide campionature di colori di Gerhard Richter e Damien Hirst, dagli oscuri tagli di Lucio Fontana alle rifrazioni di luce di Olafur Eliasson. Senza dimenticare opere di Alexej von Jawlensky, Shozo Shimamoto, Ellsworth Kelly, Josef Albers, Mark Rothko, Yves Klein, Andy Warhol, Anish Kapoor, Liu Wei, Camille Henrot, Lara Favaretto, Jim Lambie e molti altri ancora.

Jenny Dogliani, 09 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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Il moderno nasce induista | Jenny Dogliani

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