Antonio Aimi
Leggi i suoi articoliSiamo grandi e vaccinati e quindi sappiamo che ogni tanto i politici raccontano bugie (a volte piccole, a volte più grandi e gravi), si prendono meriti che non sono loro e si esprimono con un linguaggio contorto, specialmente se provengono dal partito delle «convergenze parallele». Nessuno, pertanto, ha intenzione di mettere in croce Dario Franceschini per la trionfalistica dichiarazione, sbagliata nel merito, a commento dei risultati delle presenze nei musei italiani del 2016.
Quello, però, che non è tollerabile è che l’«highlight» di un comunicato ufficiale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo sia una percentuale sbagliata, che non è stata notata dai media, i quali hanno esaltato acriticamente dati che non dicono nulla di nuovo. Va bene che la neoministra della Pubblica Istruzione Valeria Fedeli non è laureata e che i meccanismi di ascesa ai vertici dei Ministeri non sembrano sempre meritocratici, ma, se non ricordo male, il calcolo delle percentuali è previsto dai programmi di prima media.
Andiamo con ordine. Il 5 gennaio il Mibact presenta «tutti i numeri dei musei italiani». I dati sono preceduti da questo titolo: «Con 44,5 milioni di visitatori è nuovo record per i musei italiani. “Riforma funziona: in 3 anni +6 milioni di biglietti e +45 milioni di incassi”». Segue la dichiarazione del ministro: «I dati del 2016 decretano un nuovo record per i musei italiani. I 44,5 milioni di ingressi nei luoghi della cultura statali hanno portato incassi per oltre 172 milioni di euro, con un incremento rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015 che corrispondono a 1,2 milioni di visitatori in più e a maggiori incassi per 18,5 milioni di euro». Più sotto è riportata la seguente tabella.
Basta fare due conti per vedere che l’aumento del 2016 rispetto al 2015 non è del 4% ma solo del 2,676%. Il bello, però, è che il ministro rivendica anche l’incremento del 15% del 2016 rispetto al 2013. In questo caso i conti sono giusti, ma quello che non è giusto è attribuire questo merito alla sua riforma.
La riforma Franceschini, il cui cuore è stato il concorso per i venti nuovi direttori dei principali musei italiani, infatti, è andata a regime solo nell’autunno del 2015 (la presentazione dei vincitori si è tenuta al Collegio Romano, sede del Ministero, il 15 settembre 2015; cfr. n. 357, ott. ’15, p. 12). È ovvio, pertanto, che il ministro non può ascrivere alla sua riforma il merito dell’incremento del periodo 2013-2016.
Anzi, se si vedono i dati degli incrementi annuali, si vede che si è passati dal 6,038% del 2014 al 6,243% del 2015 e al 2,676% del 2016. I rosiconi, pertanto, potrebbero dire che la riforma è stata un fallimento. La questione è un po’ complicata e qui devo limitarmi a ribadire quello che ho scritto su queste pagine qualche tempo fa (cfr. n. 357, ott. ’15, p. 12), e cioè che senza una adeguata progettualità anche le riforme più splendide, e quella del ministro Franceschini non è proprio splendida, non vanno da nessuna parte. Ma prima di affrontare il tema della valorizzazione del patrimonio culturale è necessario imparare a calcolare le percentuali e capire che in assenza di correlazioni temporali non è possibile individuare relazioni di causa-effetto.
I dati del Mibact 2016Le 5 regioni con il maggior numero di visitatori nei musei statali sono Lazio (19,6 milioni), Campania (8,1), Toscana (6,4), Piemonte (2,5) e Lombardia (1,8). Quelle con i tassi di crescita più elevati Piemonte (+31,4%), Calabria (17,6%), Liguria (17,5%), Veneto (17%) e Campania (14,2%). Sarebbe utile sapere quanti sono i residenti e quanti i turisti (e, tra questi, gli stranieri).
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