Tito Fortuni era amico di lunga data e medico curante di Alberto Burri (1915-1995) con cui aveva condiviso una lunga parte dell’esistenza, militando anche in gioventù nella squadra di calcio del Città di Castello. Da suoi appunti tenuti a partire dalla fine degli anni Sessanta, Guelfo Guelfi, che commenta il testo, ha ricavato una scrittura che testimonia una lunghissima consuetudine e inizia con un dettaglio peculiare, commentando ironicamente la proposta di Michelangelo Antonioni all’artista di interpretare un ruolo in «Zabriskie Point».

Poi dal 1975 le note si fanno più continue, intrecciando osservazioni sanitarie intorno alla salute spesso problematica dell’artista (peraltro medico egli stesso), occasioni conviviali, note sulla realizzazione di opere e mostre, mentre cresce sempre di più il successo insieme ai riconoscimenti. Burri nel 1975 dona all’amico e alla moglie Liliana un «Cretto bianco» per i venticinque anni di matrimonio e li fotografa ai suoi vernissage o in ambito familiare, in occasione di pranzi e cene. Sullo sfondo è anche la consorte di Burri, la danzatrice e coreografa americana Minsa Craig, che spesso è tornata nelle complicate cronache dell’ultimo periodo del maestro, trascorso nelle vicinanze di Nizza, a villa Beaulieu, dove sono scomparse senza lasciare traccia numerose opere.

Un ritratto intimo, quindi su sfondi umbri, di una personalità scontrosa, ma capace di aprirsi a improvvisa generosità, con cammei di amici come Nuvolo (anche un po’ rivali) e folgorazioni comuni, come la visita al museo di Assisi per vedere il saio di san Francesco, che Cesare Brandi aveva paragonati ai «Sacchi». Un profilo con tratti affini a quello firmato negli anni Sessanta, con penna ovviamente più acuta, da Giuseppe Berto, che rievocava la comune prigionia nel campo americano di Hereford, in Texas.


Alberto Burri. L’amicizia, di Tito Fortuni, prefazione di Bruno Corà, 216 pp., Maschietto Editore, Firenze 2016, € 16,00