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Il Manifesto dei restauratori senza frontiere

Tra leggi applicate e non e una guerra di ricorsi l’elenco dei restauratori è in stallo da sette anni

Nonostante l’esistenza di leggi (il Codice dei Beni Culturali del 2003) e decreti ministeriali (il n. 86 del 2009 e altri) che stabiliscono quali siano i restauratori esperti, qualificati, con studi e curriculum a norma che possono svolgere la professione di Restauratore di Beni culturali, da anni il loro status è incerto (cfr. n. 367, set. ’16, p. 6 e n. 363, apr. ’16, p. 5). Tra le cause della confusione: ritardi, ricorsi, errori mentre alcuni sindacati e associazioni premono per una «sanatoria» che aprirebbe l’accesso alla professione a migliaia di restauratori senza la necessaria esperienza e senza titoli validi. Tra le ragioni dello stallo è il ritardo con il quale si va componendo l’Elenco dei Restauratori di Beni culturali, una sorta di albo professionale che ne definirà finalmente lo status. Per chiarire i problemi, un gruppo di restauratori professionisti uniti nell’Associazione Restauratori senza Frontiere ha redatto un Manifesto del restauro italiano (il testo integrale è sul nostro sito www.ilgiornaledellarte.com).

In 23 articoli vengono chiariti quali dovrebbero essere, seguendo le leggi in vigore, ruolo e competenze esclusive di quei restauratori che saranno iscritti nel futuro elenco. Presentato l’11 novembre scorso al Salone del Restauro di Firenze, il Manifesto è un documento ancora aperto a miglioramenti. Secondo gli autori dovrebbe diventare un testo di riferimento per il mondo della conservazione e del restauro, anche perché rispecchia la posizione di molti dei più rispettati professionisti del settore. L’attenzione si concentra sulla specificità del restauro italiano e sulla necessità che questa nostra scuola di grande tradizione, riconosciuta in campo mondiale, venga valorizzata per garantire al meglio la tutela del nostro patrimonio culturale. L’art. 8 entra nel merito di un problema ancora irrisolto e assai complesso: «La formazione a livello universitario non deve essere indirizzata soltanto a specifici contenuti tecnici (competenza), ma deve fornire gli strumenti critici per sviluppare una visione generale della complessa attività del conservare (conoscenza). Di conseguenza oltre alla formazione generale si dovrà, per tutte le professioni pertinenti alla conservazione, prevedere la possibilità di una serie di specializzazioni successive di più alto livello». Il restauro, lo dice anche la legge, non può limitarsi all’intervento tecnico, esecutivo, su un affresco o una scultura, che è soltanto l’ultima fase del lavoro.

I decreti legislativi n. 42 del 2004 e n. 50 del 2016 sono del resto chiari sui compiti e sulle responsabilità del Restauratore di Beni culturali. L’art 18 del Manifesto chiarisce il problema sulla base del decreto ministeriale n. 86 del 2009 e riafferma la competenza esclusiva del restauratore, su tutto il processo, fin dall’inizio: «In ambito di progettazione degli interventi di restauro conservativo dei beni mobili, delle superfici decorate dei beni architettonici e dei materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico artistico e archeologico, il Restauratore di Beni culturali, professionalmente qualificato secondo la normativa vigente… progetta e dirige gli interventi, esegue direttamente le verifiche progettuali preliminari, dirige e coordina il gruppo di professionisti che intervengono, ognuno per le proprie competenze specifiche, nelle attività di ricerca e sperimentazione». Naturalmente questo chiarimento non trova d’accordo molte ditte e professionisti che nel disordine normativo attuale da tempo si sostituiscono ai restauratori senza rispettare il d.m. del 2009 e si servono di loro soltanto nella fase esecutiva. Non solo: nei comitati scientifici che dirigono i grandi restauri (art. 21 del Manifesto), «tra le diverse professionalità deve essere prevista anche quella del Restauratore di Beni culturali». Ciò oggi avviene raramente a danno della qualità di importanti interventi nei quali al restauratore vengono affidati compiti puramente esecutivi. Il Manifesto, con eventuali integrazioni, servirà a riaffermare principi base importanti, già scritti nelle norme in vigore ma sempre più spesso disattesi.

Intanto nel mondo del restauro continua anche una vecchia battaglia giudiziaria. Alcune associazioni e sindacati non accettano la decisione del Mibact che il 21 luglio scorso aveva riconosciuto che il diploma, rilasciato fino al 2009 dai 3 centri di Alta Formazione del Ministero, era equivalente a una laurea magistrale come già stabilisce il Codice dei Beni culturali. Il Mibact aveva quindi subito inserito quei circa 800 diplomati nell’Elenco dei Restauratori di Beni culturali anticipando la loro qualifica e quindi senza aspettare il termine dei lavori della commissione che sta componendo l’Elenco. Contro questa decisione c’era stato l’immediato ricorso al Tar della Confartigianato che sostiene le domande di iscrizione all’Elenco di alcune migliaia di candidati: respinto il 14 settembre 2016. Ma il 10 ottobre la stessa Confartigianato con Cna e le associazioni Ari e Le ragioni del restauro, hanno promosso una nuova azione legale definendo illegittima l’iscrizione anticipata. Eppure, il Mibact si era limitato ad applicare il Codice dei Beni culturali, legge dal 2004. Insomma una guerra da anni minaccia il restauro. La prossima sentenza della magistratura è il 14 febbraio.

Edek Osser, 10 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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