Il lato oscuro della pax romana

Gli scavi del Cerro de la Cruz (Cordova) riaprono il dibattito sulla romanizzazione

Alcuni dei resti umani trovati tra le macerie del Cerro de la Cruz
Roberta Bosco |  | CORDOVA

Lo studio «Vita e morte nel Cerro de la Cruz» di Fernando Quesada della Facoltà di Archeologia dell’Università autonoma di Madrid, rivela il lato oscuro della famosa pax romana. Infatti, malgrado portassero una certa stabilità e tranquillità alle regioni annesse all’Impero, i Romani non sempre si comportarono in modo pacifico.

Lo testimoniano gli scavi del Cerro de la Cruz (Cordova), una collina rocciosa triangolare vicino al fiume Almedinilla, sulle cui pendici nell’XI secolo a.C. era ubicato un villaggio iberico di circa 4,7 ettari, dei quali finora è stato scavato solo il 2,5%. Sebbene lo scavo sia ancora agli inizi, i ritrovamenti sono già sconcertanti.

Lo studio conferma che il villaggio fu distrutto e saccheggiato. Magazzini, case e strutture sono rimasti intatti sotto le macerie, dove sono stati trovati resti umani con evidenti prove di ferite da spada e amputazioni. Tra le rovine numerosi oggetti della vita quotidiana abbandonati e sotterrati sotto uno spesso strato di cenere che dimostra la violenta distruzione del villaggio.

Lo studio riapre il dibattito sulla romanizzazione: Quesada sospetta che la distruzione del Cerro de la Cruz risalga alle famose rivolte del condottiero lusitano Viriato e che il villaggio sia stato probabilmente bruciato dal generale Quinto Fabio Massimo Serviliano.

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