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Il gusto irresistibile di dire no

Il gusto irresistibile di dire no

Stefano Miliani

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Molte le reazioni alle nuove 39 Soprintendenze uniche. Ma il vero rischio è il «silenzio-assenso»

Scuote profondamente gli archeologi la riforma che accorpa le Soprintendenze sotto nuove istituzioni uniche denominate «Archeologia, Belle arti e Paesaggio», ciascuna suddivisa in sette sotto-settori. L’ultima rivoluzione del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, oltre a ricalcare il modello siciliano, incassa qualche plauso e una valanga di critiche: da molte associazioni, da consulte universitarie e da 17 dirigenti archeologi che hanno invitato Dario Franceschini a ripensarci con una lettera uscita sul web (www.patrimoniosos.it).

La tesi del ministro, che ha varato il provvedimento sorprendendo tutti o quasi, è: le Soprintendenze, che da 17 diventano 39 più le due speciali di Roma e Pompei, controlleranno zone più limitate con un approccio interdisciplinare; un unico responsabile può rispondere per tempo a enti e privati senza restare impigliato nelle maglie del criticatissimo «silenzio-assenso» introdotto dalla riforma della Pubblica amministrazione del ministro Marianna Madia. Tutto ciò, sostiene, rafforza la tutela, non la indebolisce. E ha annunciato la nascita di un Istituto centrale dell’archeologia (Ica) a Roma («la Repubblica», 5 febbraio 2016) che coordini e sia analogo a quanto fanno il romano Istituto superiore per la conservazione e il restauro (Iscr) e il fiorentino Opificio delle Pietre Dure (Opd). Una risposta alle severe critiche alla riforma manifestate sullo stesso quotidiano («la Repubblica», 4 febbraio 2016) da Salvatore Settis? «L’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, commenta per «Il Giornale dell’Arte» l’archeologo già direttore della Normale di Pisa, lo ha inventato Benedetto Croce nel 1920 quindi il ministro non inventa ma spacca una cosa vecchia che esiste già e funziona male. Farebbe molto meglio a riattivare l’istituto esistente. E non ha affatto risposto alle mie critiche». 

Anche l’Accademia dei Lincei ha varato un documento contrario alla riforma. Lo ha firmato, tra gli altri, Mario Torelli. «Dalle sciagurate riforme di Veltroni in poi si è imposta la logica del bricolage, ma per “loro” contano solo i voti elettorali, accusa, al nostro giornale, l’etruscologo. Ora il ministro ha preso a modello quello siciliano, che è pessimo per ammissione degli stessi funzionari locali. Inoltre separare i musei archeologici dalle Soprintendenze significherà che queste non daranno i ritrovamenti. E le competenze? Se lei ha un’appendicite va dal dentista?».

Daniele Manacorda, docente all’Università Roma 3, approva la nuova rotta: «Una Soprintendenza unificata permetterà una maggiore integrazione delle risorse e delle scelte. Non si danneggia la tutela, non è dalla distinzione disciplinare tra architettura, arte, paesaggio e archeologia che possiamo cogliere un patrimonio artistico unitario. La riforma è necessaria e anzi arriva troppo tardi». E se gli archeologi saranno diretti da altri specialisti? «Argomento irricevibile, risponde. Conta l’integrazione delle competenze, che anzi può moltiplicare gli effetti di una tutela più pervasiva. Certo, bisognerà creare processi decisionali condivisi al posto di una concezione autoreferenziale e a compartimenti stagni. Una visione interdisciplinare può mettere a fuoco la soluzione migliore, sul piano sia tecnico che culturale».

Salvo Barrano presiede l’Associazione Nazionale Archeologi (Ana): «Aspetterei prima di dare giudizi perentori, dice. Che il cittadino si rapporti con un interlocutore unico penso sia un vantaggio, gli aspetti critici sono altri». Elenca: «I tempi sbagliati sembrano dettati da motivi strategico-elettorali; la riforma calata dall’alto senza concertazione sfida con prepotenza tutto il personale; senza i soldi il risultato non sarà all’altezza delle intenzioni». La tutela rischia? «Nel medio lungo termine non penso perché saranno assunti 500 tecnici, nel breve tempo può mettere in difficoltà». 

Sostiene il nuovo corso, e suggeriva da tempo di ricorrere alle Soprintendenze uniche, il presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e docente a Foggia Giuliano Volpe. Che ci dice: «Le competenze saranno distribuite tra archeologi, architetti, storici dell’arte. I nuovi soprintendenti dovranno avere una maggiore visione generale, saper coordinare specialisti diversi. Il problema semmai sarà attribuire ai responsabili ruoli significativi e non stravolgere i loro pareri». Difficoltà pratiche e il decisionismo della riforma calata dall’alto però esistono. «Se in Lombardia c’è un buon laboratorio di restauro resti a disposizione anche delle altre Soprintendenze della regione. Sì, questa riforma ha un punto debole: auspico più condivisione e più ascolto. Ma Giovanni Urbani diceva, già 40 anni fa quando si spendeva e c’era personale, che la tutela faceva schifo. Si facciano allora proposte concrete: la situazione precedente a detta degli stessi difensori non funzionava. E non per i soldi».

«Poiché gli interventi architettonici valgono molti più soldi, prenderanno il sopravvento architetti e ingegneri. E tra una chiesa che crolla e uno scavo di emergenza prediligeranno la chiesa; non ultimo, è più facile rimuovere un singolo dirigente e farlo sottostare al prefetto, cioè al Governo, come vuole la riforma Madia». È la lettura anche politica di una figura ben addentro alle Soprintendenze. Che invoca l’anonimato così come un alto funzionario quando osserva: «Se il ministro avesse davvero voluto opporsi al silenzio-assenso non lo avrebbe approvato nel Consiglio dei ministri». Quanto agli aspetti tecnici? «I musei archeologici vanno connessi al territorio per i rinvenimenti altrimenti perdono la loro specificità; andranno spostati funzionari; avremo perdite di conoscenze prima che la macchina diventi operativa; non è dimostrato che le decisioni più rapide siano le migliori; né è una riforma a costo zero, se no come pagano i responsabili dei sette sotto-uffici?» Un’altra figura dirigenziale concorda: «Un soprintendente unico non velocizzerà l’azione di tutela, necessitando di più tempo per esaminare le pratiche di cui dovrà assumersi la responsabilità». Tuttavia un archeologo confessa: la categoria ha chinato il capo per troppo tempo. 

 

Stefano Miliani, 10 marzo 2016 | © Riproduzione riservata

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