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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliUna vita da gallerista non è solo fatta di galleria. Fabio Sargentini è anche scrittore e uomo di teatro, sentendosi a casa tanto tra le immagini quanto tra le parole e le scene. La sua stessa concezione di galleria prevede sin dagli albori nel 1966, ovvero da quando ha iniziato a dirigere L’Attico senza il padre Bruno, una messa in scena del gesto artistico che rende lo spazio espositivo parte dell’opera, così come le parole sono parte della vita di un gallerista portato alla riflessione e alla creazione.
Per le Edizioni L’Obliquo è da poco uscito l’ultimo libro di prose di Fabio Sargentini, dal titolo Quirite malinconico, ovvero lui, che è romano («quirite» è antico sinonimo dei cittadini dell’urbe), ma che è soprattutto un essere umano, e quindi aduso ai territori delle malinconie.
Una versione ridotta del componimento che dà il titolo al volume uscì già sulla rivista letteraria «Nuovi argomenti» nel 1992, mentre i restanti, costituiti da poesie e brevi prose, sono quasi tutti tranche de vie degli anni recenti, ispirate agli artisti amici, a episodi della vita, a meditazioni del momento, a esperienze professionali, come quelle che affiorano dal lavoro di scrittura e coregia di opere teatrali assieme alla moglie Elsa Agalbato.
Mesti sussulti della memoria vanno a braccetto con episodi comici, momenti di bellezza contemplativa si sposano, nell’avvicendarsi delle pagine, ad appunti sulla qualità enigmatica dei fatti della vita. La parola balla e brilla sulla pagina come tocchi di pennello rapidi ed efficaci, capaci di riverberare il palpito del vissuto. A legare all’interno del libro l’ironia mordace di talune composizioni con l’emozione profonda di altre è proprio l’asciuttezza discorsiva di chi usa la vita per guardare la vita, e interroga i momenti senza bramare risposte.
Ecco allora il quirite malinconico: «Pare che solo a Roma / all’ombra d’una palma / la mia nevrosi trovi / un’oasi che la calma». Gli echi dell’amato Penna sfumano però presto nella piroetta comportamentale d’un quirite maramaldo: «Tra le colonne al Pantheon / di turisti colmo urlo / muoia Sansone con tutti / i Filistei e poi fuggo». Dove? A vergare un ritratto di Achille Bonito Oliva, in distici tagliati con il coltello dell’affettuosa ironia: «Achille è Epicuro / Achille è cianuro / (…) / Achille è il Padreterno / Achille va all’inferno / (…) / Achille è Rigoletto / Achille è un do di petto / Achille è il Colosseo / Achille è un pigmeo / (…) / Achille è la Volpe / Achille gioca al golpe / (…) / Achille è Napoli / Achille è Fregoli / Achille è Achille / Uno dieci mille».
A momenti grotteschi, come quando viene scambiato per un idraulico, gustandosi l’errore, si susseguono altri elegiaci, come il saluto di gratitudine al tramonto per un’opera teatrale andata bene. Altrove, divertite annotazioni sulle analogie non solo stilistiche, ma anche comportamentali, che assimilano Giancarlo Limoni a Mario Mafai, lasciano il posto a scandagli nella profondità insondabile dei rapporti umani, mediati dal corpo vivo della pittura. È il caso del trasporto in un viaggio in automobile dell’«Otage» di Fautrier, per timore che venga rubato in agosto da ladri: «Ho un rapporto morboso con il quadro, c’è questa relazione stretta con il corpo di mio padre». Ma l’automobile sobbalza, per il manto stradale dissestato. «Qualsiasi buchetta mi esasperava». La moglie Elsa gli legge nel pensiero, prende il quadro dal sedile posteriore e lo tiene in braccio per attutirgli i colpi. E lui: «Stai attenta, tieni in braccio mio padre».
Un altro ricordo del padre, con cui Sargentini aprì diciottenne la galleria nel 1957 e che ora ritrova nel modo che lui ha di accavallare le gambe su una poltrona, chiude il libro. Ad aprirlo, in copertina, una gouache di Stefano Di Stasio (nella foto). Rappresenta un quirite che, poggiandosi a una notte romana, guarda la sua malinconia.
Quirite malinconico, di Fabio Sargentini, 52, pp., Edizioni L’Obliquo, Brescia 2015, € 11,00

La copertina del volume, con una gouache di Stefano Di Stasio
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