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Il fior fiore di Georgia

Federico Florian

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Alla Tate Modern la pittrice O’Keeffe finalmente interpretata in chiave non «uterina»

«Ho scoperto di poter dire con i colori e le forme cose che non avrei saputo dire altrimenti; cose per cui non trovavo le parole», dichiarò una volta Georgia O’Keeffe, una delle più grandi pittrici americane del XX secolo. Parole che rivelano uno straordinario attaccamento alla pittura, intesa come primaria forma di comunicazione. Se la lingua non può esprimere l’intensità della vita, di certo lo può fare il pennello. La natura ha sempre rappresentato una delle principali fonti d’ispirazione per la O’Keeffe, nata a fine Ottocento in una fattoria del Wisconsin. Natura verso la quale tornerà all’età di 62 anni, nel 1949, quando lascerà New York per trasferirsi in solitudine ad Abiquiu, nel cuore del New Mexico. Dal 6 luglio al 30 ottobre la Tate Modern dedica alla pittrice statunitense la prima retrospettiva in Gran Bretagna in oltre vent’anni, a cura di Tanya Barson e Hannah Johnston. Una mostra molto attesa, che raccoglie più di 100 opere, a partire dalle sperimentazioni astratte degli esordi, quelle esposte da Alfred Stieglitz, futuro marito dell’artista, nella galleria newyorkese 291, nel 1916 e nel 1917. Tra queste figurano «Sunrise» (1916) e «Blue and Green Music» (1919), in cui l’autrice esplora la relazione tra musica, colore e composizione.

Nature morte e paesaggi costituiscono il fulcro dell’esposizione londinese: le prime illustrate dagli iconici fiori, tra cui il celeberrimo «Jimson Weed/White Flower No. 1», 1932, il dipinto di un’artista donna venduto più caro in asta (44,4 milioni di dollari da Sotheby’s a New York nel 2014) per la prima volta esposto al di fuori degli Stati Uniti; i secondi da dipinti quali «Black Mesa Landscape, New Mexico/Out of Black Marie’s II» (1930) e «Red and Yellow Cliffs» (1940), che raffigurano i roventi canyon del New Mexico. In mostra anche una selezione di fotografie di Stieglitz, tra cui ritratti e nudi della O’Keeffe. Una mostra, come afferma la Barson, volta a rivedere lo «stereotipo sessista e fuori moda» che affligge le opere dell’artista, in particolare i fiori, interpretati da una certa critica freudiana come rappresentazioni di genitali femminili.

Federico Florian, 03 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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