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Dettaglio di ostensorio argentato e dorato della fine del XVII secolo

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Dettaglio di ostensorio argentato e dorato della fine del XVII secolo

I vescovi accelerano la catalogazione

Il censimento dei beni artistici ecclesiastici è partito nel 2004. Ora il catalogo è anche online

Non si sono mai fermati i furti nelle chiese italiane, spogliate a ritmo vertiginoso: record nel 2016, con 1.776 opere d’arte rubate. Eppure da una decina d’anni la situazione sta migliorando. Prima mancava un catalogo degli infiniti tesori accumulati per secoli in edifici di culto, conventi, palazzi e sedi vescovili; mai censiti, una volta rubati se ne perdeva perfino la memoria.

La svolta nel 1996, quando la Conferenza Episcopale Italiana (Cei), d’intesa con il Ministero dei Beni culturali, decise la catalogazione dei beni storici e artistici ecclesiastici. Il progetto è partito nel 2004, finanziato dall’8 per mille alla Chiesa Cattolica, talvolta dalle comunità locali, da imprese e da privati.

Un esempio virtuoso viene dall’Alto Verbano, 16 Comuni in provincia di Varese, con centro a Luino, Lago Maggiore, uno dei luoghi del nostri Paese più colpito dai furti (la Svizzera, a due passi, facilita l’accesso ai mercati illegali). Decine le chiese abbandonate, sparse nelle valli, fino a duemila metri d’altezza, in borghi disabitati. Qui il censimento, finanziato dal territorio, è stato diretto da Federico Crimi e Maurizio Isabella.

Dal 2012 rintracciano e scoprono un patrimonio eccezionale di reperti, soprattutto del XVI-XVII secolo, quasi del tutto sconosciuto e dimenticato. Catalogate e fotografate finora le opere trovate in 40 chiese e in una decina di case parrocchiali; redatte 3.500 schede per il catalogo generale della Cei. Per completare l’esplorazione in circa 100 chiese serve tempo. «Spesso in vani nascosti, in luoghi bui, accessibili solo per impervie scalette o strisciando in corridoi angusti, abbiamo scoperto quadri e statue di notevole qualità e bellezza chiusi in sacchi neri della spazzatura», raccontano Crimi e Isabella. Non rivelano nulla che possa identificare luoghi e autori delle opere, per evitare i furti.

Il catalogo generale della Cei non serve soltanto a bloccare i furti ma a conoscere, proteggere, restaurare e gestire l’immenso patrimonio della Chiesa. Ma bisogna accelerare i lavori perché dalle chiese vuote di paesi senza sorveglianza, spariscono anche pavimenti, pareti affrescate, stucchi, altari, fregi. Le Diocesi italiane sono 226, numero che la Cei definisce ormai eccessivo e vuole tagliare drasticamente. Soltanto la metà dei loro tesori sono stati finora catalogati: un gigantesco «work in progress» che comprende già oltre 4 milioni di beni storici e artistici, oltre 5 milioni di beni librari, 64.747 edifici di culto, 100.308 beni archivistici, 1.649 istituti culturali ecclesiastici e anche 1.621 persone, famiglie, enti.

È tutto online (basta digitare «BeWeB»): l’elenco e le immagini vengono man mano aggiornati dall’Ufficio Nazionale per i Beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei. È stato adottato anche un sistema antifurto: il sito web, pur consentendo numerose modalità di ricerca (titolo, autore, materia, ambito culturale, tipologia) non permette di localizzare i luoghi in cui si trovano i beni se non per macroambiti diocesani. Ogni soggetto del catalogo (con foto ad alta definizione che, quando è necessario, mostra soltanto un particolare) è contrassegnato da codici univoci, correlati a quelli parrocchiali.

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Tina Lepri, 04 giugno 2018 | © Riproduzione riservata

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