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Veronica Rodenigo
Leggi i suoi articoliSquilla a vuoto il telefono dell’ufficio stampa degli 11 musei riuniti dal 2008 nella Fondazione Musei Civici di Venezia, partecipata al 100% dal Comune (il suo vicepresidente è il primo cittadino che, dal 2015, è Luigi Brugnaro). Un silenzio che da giorni contraddistingue anche i vertici della Fondazione: la presidente Mariacristina Gribaudi e la direttice Gabriella Belli. «La Fondazione non ha comunicazioni per i giornalisti», è la replica che alla fine riusciamo a ottenere. Non ne ha però neppure per i cittadini.
A parlare è stato invece il sindaco Brugnaro che ha pubblicamente comunicato la decisione di chiudere le 11 sedi sino al primo aprile. Il problema è la sostenibilità economica, come ha ribadito l’assessore al Turismo Simone Venturini). Senza gli introiti dei flussi turistici la situazione non è sostenibile: il ristoro da parte del Mibact (attorno agli 8 milioni di euro) è servito a coprire il deficit del 2020, ma non i costi per una riapertura.
I lavoratori (84 dipendenti e 500 in appalto esterno secondo fonti sindacali) sono tutti da tempo in cassa integrazione al 100%. Nessun comunicato è pervenuto dalla Fondazione che ha interrotto ogni sua attività (aggiornamento social e newsletter inclusi). Né è possibile prendere visione del bilancio 2020 in quanto non è ancora stato pubblicato online. Nel 2019 la Fondazione aveva chiuso con un utile di poco più di 2 milioni di euro. Sul sito ufficiale campeggia un generico avviso: «I musei civici di Venezia sono chiusi al pubblico» a cui si aggiunge una «nota informativa per rimborsi e prolungamento validità biglietti».
Intanto da parte dei sindacati e dal mondo della cultura si è verificata una levata di scudi. Centinaia le firme raccolte dall’appello lanciato dalla rivista online «Ytali» tra cui compaiono quelle di Paola Marini (già direttrice delle Gallerie dell’Accademia) e Salvatore Settis.
Il sindaco ha replicato promettendo una revisione della stima entro la fine di gennaio. Chissà che con questa non venga comunicato con chiarezza il complessivo quadro economico dei musei veneziani, di cui Palazzo Ducale costituisce la punta di diamante (nel 2019 dei 2.142.000 visitatori dichiarati dalla Fondazione Musei Civici, il 75% era dovuto proprio al Ducale).
E pensare che ben prima dell’attuale statuto della Fondazione (dove ben si ribadiscono le linee di indirizzo) la convenzione stipulata nel 1924 tra Stato e Comune di Venezia per la concessione in uso al Comune di Palazzo Ducale e delle adiacenti Prigioni così recitava: «Il Comune di Venezia manterrà il Palazzo Ducale nelle stesse decorose e proprie condizioni nelle quali attualmente si trova […]. Manterrà pure al detto Palazzo l’attuale sua destinazione e lo conserverà aperto al pubblico verso pagamento delle tasse attualmente in vigore, salvo quei ritocchi, che potranno migliorare il rendimento, senza nuocere all’interesse collettivo della popolazione e degli studiosi […]. Qualora il Comune contravvenga a quanto è previsto e prescritto nella presente convenzione, o, comunque ne violi lo spirito, che è quello di mantenere inalterati attraverso la concessione in uso il carattere e la destinazione dei due edifici, in quanto essi costituiscono uno dei più gloriosi monumenti della storia e dell’arte italiana, e come tali sono patrimonio universale, la convenzione stessa sarà immediatamente revocabile».
Palazzo Ducale a Venezia
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