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I cantastorie del piccolo schermo

I cantastorie del piccolo schermo

Stefano Miliani

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Ci sono tutti, da ABO a Sgarbi, da Alberto Angela a Bonami (Daverio c’è sempre, in replica). Ultimo è Floris che ora tenta di ravvivare cronaca e politica con l’arte. Perché tutti vogliono parlare d’arte in tv? E con quali risultati? Siamo già al rischio saturazione?

Il 17 aprile scorso su La7 Giovanni Floris si avventurava nell’enigmatica e barocca Cappella Sansevero di Napoli descrivendo la scultura del «Cristo velato» e raccontando storie di ricerche alchemiche: esordiva con «Artedì» in onda il lunedì in seconda serata ottenendo l’1,5% di share e 244mila telespettatori per salire al 2,63% e a 402mila spettatori il primo maggio, nella puntata sui tesori nella Banca d’Italia. Buoni ascolti in un orario ostico, segnalano dall’emittente entrata in un territorio che finora aveva frequentato poco.

Il risultato più eclatante lo ha avuto il 27 dicembre scorso su Rai1 Alberto Angela con «Stanotte a San Pietro» raggiungendo, in prima serata, ben 6,1 milioni di telespettatori e uno share del 25,56% medi, doppiando tante fiction e costosi show. Certo, Angela è un divulgatore culturale e scientifico con un gran seguito, abile e raffinato e non a caso il Vaticano gli ha appena affidato due cofanetti con sei dvd ciascuno, «Alla scoperta del Vaticano» e «Alla scoperta dei Musei Vaticani», con interviste e riprese dal taglio inedito. I cofanetti presentati a maggio nelle raccolte papaline, distribuiti da Rai Com e Opera Laboratori Fiorentini, ricordano come la divulgazione, ancorché virata a misura di dvd, può sia informare sia essere un buon investimento.

E se anche un cronista di razza sulla politica e l’attualità qual è Giovanni Floris entra con esperti e telecamere in luoghi come il Cenacolo vinciano o la Villa Farnesina a Roma, allora si conferma che l’arte in tv interessa. L’impegno di Rai5, il canale culturale della Rai, è massiccio. Con 52 «prime serate» all’anno trasmette e/o produce molti programmi. Come, dal 2010 al 2015, «Cool Tour Arte» della giornalista (nonché collaboratrice di «Il Giornale dell’Arte») Michela Moro, Paolo Giaccio e Ranuccio Sodi, oppure ospita il brillante «Simon Schama e il potere dell’arte» della Bbc.

Silvia Calandrelli dirige Rai Cultura (cultura.rai.it), che gestisce Rai5 oltre a Rai Storia e Rai Scuola: «Lavoriamo per tutti, non per le élite, e quindi adottiamo un linguaggio divulgativo e la bellezza delle immagini. Con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo abbiamo fatto su Rai Storia un viaggio in realtà d’arte meno celebrate e abbiamo continuato su venti musei meno noti, per esempio il Bargello di Firenze, e Paestum».

La risposta degli spettatori? «Siamo molto contenti, vediamo un interesse forte». Per Sky Arte Italia interviene il responsabile Roberto Pisoni: «Ritenendo essenziale dare personalità al canale realizziamo molte produzioni originali dallo hub di Milano. Per dirne una, “Potevo farlo anch’io” con Francesco Bonami e Alessandro Cattelan». Il manager ricorda la serie «Le sette meraviglie» su scrigni come Assisi, Lecce o Siena mentre a giugno la tv affronta la Street art. I temi preferiti dal pubblico? «L’arte italiana, i documentari sui Musei Vaticani, Pompei, gli Uffizi, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio. Il nostro è tra i canali più apprezzati nella piattaforma». La tv a pagamento tace però sui dati d’ascolto. Ha timori? «Tutt’altro, abbiamo riscontri molto positivi. Non li forniamo perché la nostra forza sono la qualità e la varietà del palinsesto, non sottostiamo all’Auditel». 

Parlano gli storici dell’arte
Per chi racconta pittori e scultori dal piccolo schermo, quale deve essere l’ingrediente principe? «A “Matrix”, su Canale 5, presento opere legate da un filo che a volte c’è a volte no, risponde Vittorio Sgarbi. Far sentire che non c’è separazione tra le opere è più efficace». Un esempio? «Accostando Piero della Francesca a Mondrian, o Brancusi alle sculture cicladiche, si avverte un’essenza che non ha confini temporali né spaziali. Funziona meglio del racconto storico. Ed è fondamentale far sentire che le opere sono un elemento vibrante della vita. Bisogna essere emozionali, non troppo didascalici», sostiene lo storico dell’arte. Antonio Paolucci, che lo scorso dicembre ha lasciato la guida dei Musei Vaticani, nel 2015 ha dato volto e voce a «Museo Italia» di Rai5. «Come ogni buon insegnante, oltre alla chiarezza, occorre trasmettere entusiasmo, empatia, passione». Una curiosità: Michelangelo nel piccolo schermo spinge ad acquistare libri? «Sollecita l’interesse all’arte e, quindi, alle pubblicazioni. La tv gioca un ruolo importante». Dalla casa editrice Rizzoli, che pubblica Alberto Angela, però mettono in guardia: «I suoi libri sono già bestseller, non crediamo che la trasmissione su San Pietro abbia inciso su Gli occhi della Gioconda che era in libreria. È difficilissimo se non impossibile quantificare in modo serio gli effetti di un programma sulle vendite». Ancora su Rai5 Claudio Strinati, storico ex soprintendente a Roma, ha condotto «Strinarte» a inizio 2016: «Ho potuto esprimermi liberamente. Non faccio l’analisi stilistica delle opere, la televisione funziona se agganci il colloquio all’immagine, per cui dialogo con esperti. E in Italia si sono fatte trasmissioni eccellenti: penso a “Passepartout”». Trasmesso da Rai3 dal 2010 al 2015, il programma aveva come autore e critico d’arte Philippe Daverio. La cui ricetta era «tirare il filo dall’alto verso il basso, essere comprensibili per chi è attratto dalla curiosità e interessare chi ha conoscenze tecniche, quindi la mescolanza. E, pur facendo divulgazione, bisogna anche proporre ricerca». 

Dopo «La libertà di Bernini» nel 2015, Tomaso Montanari da gennaio 2017 è tornato su Rai5 per esplorare «La vera natura di Caravaggio» in modo avvincente, approfondito, evitando i cliché sul pittore. Perché in tv? «Lo diceva Roberto Longhi: gli storici dell’arte devono essere popolari, condividere la conoscenza con tutti, la cultura non è intrattenimento, altrimenti non serviamo a nulla». Dopo di che il docente all’Università Federico II di Napoli e vivace polemista culturale sottolinea: «Il servizio pubblico deve fare questo e la trasmissione è la cosa più politica che ho fatto».

Chiude il discorso Achille Bonito Oliva con il suo «Fuori quadro» focalizzato sul nostro tempo, trasmesso da Rai3 con repliche fino all’anno scorso, con Paola Marino, Cecilia Casorati e Alessandro Buccini quali coautori: «Quella contemporanea è l’arte che si può raccontare meglio in tv essendo la televisione un mezzo multimediale». Ricordando di aver firmato in precedenza altri programmi come «Collaudi d’arte» su Rai1 e «Gratis. A bordo dell’arte» su Sky, il critico rivendica una cesura: «Prima prevaleva una voce fuori campo mentre scorrevano le immagini creando una scissione, uno strabismo. Invece io ho ipotizzato una trasmissione multimediale con un transito continuo di linguaggi dando una testimonianza dell’opera più coinvolgente». Quello schema professorale era, a dirla tutta, già tramontato, tuttavia «Fuori quadro» aveva un’impostazione tutt’altro che convenzionale: «Recuperavo materiali da tutti i campi possibili creando shock estetici. Ogni puntata era intervallata da sketch di Totò, in quanto io sono totoista. E alla fine un’ipotetica nipotina faceva un’obiezione, non preparata, alla quale mi adeguavo e nelle risposte diventavo più chiaro». Restando all’oggi, su Sky Arte Hd il lunedì sera la giornalista e conduttrice Sabrina Donadel si fa raccontare passioni e criteri di scelta direttamente dai collezionisti di arte contemporanea. 

Ormai è palese: critici e storici dell’arte da un pezzo interpretano il cosiddetto piccolo schermo come un prezioso strumento di racconto e conoscenza.
 

Stefano Miliani, 09 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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