Il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell'Arca a Santa Maria della Vita

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Il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell'Arca a Santa Maria della Vita

Genus sui generis

Fabio Alberto Roversi Monaco festeggia i dieci anni di Genus Bononiae

Mariella Rossi

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Nel 2019 ricorre il decimo anniversario di Genus Bononiae. Musei nella città, un percorso culturale, artistico e museale articolato in sette palazzi storici nel cuore di Bologna, restaurati e riaperti al pubblico su iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. Nel 2009 l’inaugurazione della prima sede, la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale. Poi, nel giro di pochi anni, altre quattro sedi: Palazzo Fava, Palazzo Pepoli, Casa Saraceni e San Colombano, a cui si sono aggiunte Santa Maria della Vita e Santa Cristina, concesse in gestione a Genus Bononiae. Il presidente Fabio Alberto Roversi Monaco, già rettore dell’Università di Bologna dal 1985 al 2000, racconta dieci anni di museo diffuso.

Com’è nato il polo Genus Bononiae?

Ho impostato il mio rettorato di quindici anni a Bologna sull’esigenza di aumentare gli spazi per gli studenti e per i ricercatori e sull’importanza di farlo in luoghi di pregio, nella convinzione, poi confermata dall’esperienza, che questo sia molto importante per incrementare l’affezione nei confronti dell’istituzione e la qualità del lavoro. Così quando nel 2001 sono stato nominato presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, la visione di quello che avrei voluto fare era nitida.

Su quali esigenze e potenzialità ha costruito il suo progetto?

Il nostro Paese e Bologna in particolare, possiede edifici di qualità storica e artistica eccezionale per la presenza di affreschi, sculture e manufatti, spesso destinati alla rovina. La prima esigenza è stata il loro recupero partendo dall’acquisto, andato fortunatamente a buon fine, per Palazzo Fava, Palazzo Pepoli, San Giorgio in Poggiale, Casa Saraceni e San Colombano.

A che tipo di fruizione ha pensato?

Articolata, una scelta decisamente vincente, come il tempo ha iniziato a confermare. Innanzitutto abbiamo capito che c’era il bisogno di celebrare la storia della città, lunga oltre duemila anni e così rilevante all’interno della penisola e dell’Europa. Abbiamo restaurato a questo scopo Palazzo Pepoli e a fine gennaio 2012 l’abbiamo inaugurato come Museo della Storia di Bologna con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Qui si coglie il legame tra società, arte ed evoluzione dei tempi, dagli albori alla Street art, della quale sono onorato di avere realizzato la prima mostra, seppur in mezzo a grandi polemiche. Reputo l’apertura di questo museo come la principale operazione portata a termine.

Quali esigenze della città avete soddisfatto?

A Bologna non c’era un Palazzo delle Esposizioni. Ora lo è Palazzo Fava, che custodisce uno dei cicli di affreschi più importanti al mondo, quello realizzato dai giovani Carracci, definito da Roberto Longhi secondo solo alla Cappella Sistina.

In che modo Genus Bononiae ha cambiato la città?

C’è stato un aumento sostanzioso di presenze in città, soprattutto di stranieri, come testimoniano gli studi della Camera di Commercio e di Nomisma, e come confermano le impressioni di tassisti e ristoratori. Sono convinto che ci sia ancora molto da fare nell’ambito del coinvolgimento del pubblico di Bologna, soprattutto dei giovanissimi.

Che cosa vi contraddistingue e qual è il vostro must?
Quello che si è bene radicato nel modo di operare di Genus Bononiae è la necessità di realizzare un percorso culturale serio, meditato e lungo nel tempo, che sa anticipare la mostra ed evidenziare il contesto nel quale la mostra si colloca. La mostra deve essere creatrice di cultura e strumento per indurre a pensare e accrescere il bagaglio delle proprie conoscenze. Altrimenti si fa intrattenimento, anzi, cattivo intrattenimento.

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Mariella Rossi, 28 gennaio 2019 | © Riproduzione riservata

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