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Facciamo massa

Il restauro può (deve) essere coscienza morale

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Giorgio Bonsanti

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Ho scritto queste righe mentre ero in partenza per L’Aquila, dove dal 20 al 22 ottobre era in programma il Congresso annuale dell’Igiic, il Gruppo Italiano dell’International Institute of Conservation. Quando avevamo scelto L’Aquila come sede, eravamo stati indirizzati, questo è evidente, dal suo forte valore simbolico; e altrettanto evidentemente eravamo lontano dall’immaginare che a fine agosto altre macerie e altri lutti si sarebbero aggiunti.

Tornano allora alla mente le parole di Giovanni Urbani, quando nel 1983, appena prima delle sua dimissioni dalla direzione dell’Icr, scriveva: «...ciascuno giudichi se, dopo l’esperienza di Ancona, Friuli, Umbria, Campania e Basilicata, quello dei terremoti non costituisca un’emergenza, o piuttosto un’evenienza affatto regolare, rispetto alla quale è semplicemente inconcepibile, per dire il meno, che non si avverta l’urgenza di una politica di prevenzione» (lo si può leggere oggi a p. 140 di Intorno al restauro, a cura di Bruno Zanardi, Skira, Milano 2000). E chi opera nel restauro, ieri come oggi, non può non domandarsi se, quanto e cosa i restauratori (intendo il termine estensivamente), singolarmente e come categorie, avrebbero potuto fare, o potrebbero oggi, per intervenire efficacemente a modificare questa situazione.

Noi tutti siamo convinti, io credo, che in Italia sia sempre mancata una politica di prevenzione e di pianificazione; e io ho espresso ripetutamente, e anche recentemente (per esempio, cfr. n. 364, mag. ’16, p. 18), la mia convinzione che il restauro potrebbe e dovrebbe assumere un ruolo di coscienza morale della Nazione, di motore di occupazione e sviluppo, di promozione di ricerca e di lavoro. Il titolo che questo giornale ha offerto nel numero di settembre, quello di un blocco del restauro in Italia da 77 anni (cioè dalla legge del 1939), aveva il merito di richiamare brutalmente alle responsabilità di tutti noi in direzione di una concezione di restauro che non si limitasse al solo intervento sul singolo oggetto, ma che lo proiettasse su un panorama più generale di questioni da studiare e affrontare globalmente.

Non credo proprio però che si possa far carico ai soli Argan e Brandi di avere condizionato il restauro sì da confinarlo alle sole questioni estetiche. Oggettivamente, sinceramente, il restauro in Italia non è stato soltanto questo; è stato anche, e non da parte del solo Urbani ma anche di tanti altri, il tentativo di porre le questioni estetiche e conservative in modo da avere un’Italia più bella, ma anche più libera e giusta, perché non asservita ai poteri forti che hanno fatto scempio del territorio e del paesaggio. Una concezione come quella qui richiamata fa troppo credito, ahimè, al restauro, le cui possibilità di incidere decisionalmente sono sempre state infinitamente più modeste, nei confronti in primo luogo della politica e di una concezione del bene pubblico come occasione di sfruttamento e arricchimento di pochi; insomma il potere vero stava altrove. Un’alternativa fra il rigatino e la programmazione territoriale è una falsa alternativa. Che poi i «decision maker» a vari livelli, compresi i soprintendenti, per quanto stava in loro, abbiano troppo spesso scelto le vie facili di restauri di facciata, che la soprintendenze abbiano privilegiato le mostre e i funzionari i viaggi di accompagnamento, nei confronti di funzioni più ingrate e meno remunerative, non lo nego certo, anche perché lo scrivo da quarant’anni.

Ma oggi, di fronte alle macerie e ai morti, c’è bisogno di confrontarci con serietà e buona volontà; e di analisi approfondite e oggettive della vera storia dell’Italia repubblicana, per fare emergere ancor più diffusamente tutto quanto doveva essere fatto, e non lo è stato. Crediamo davvero che per tutti i soprintendenti e i professori l’attività di conservazione del patrimonio artistico italiano avrà fine quando tutte le opere saranno restaurate una per una sotto l’aspetto critico-estetico, come è stato scritto? Diciamocelo pure, se serve a scuotere le coscienze; ma poi mettiamoci al lavoro e facciamo massa perché qualcosa cambi.

Giorgio Bonsanti, 13 novembre 2016 | © Riproduzione riservata

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