Esperimenti del padre di Raffaello

Le ricerche condotte per la prima volta sui materiali di 24 tavole, due tele e due opere murali di Giovanni Santi rivelano l'utilizzo di tecniche all'avanguardia per l'epoca

«Tobia e san Raffaele Arcangelo» di Giovanni Santi dopo il restauro. Courtesy Galleria Nazionale delle Marche
Stefano Miliani |

Giovanni Santi (1439-94), padre di Raffaello, rimatore e scenografo, come pittore non avrà aperto nuove vie eppure guardò alle innovazioni tecniche dei fiamminghi adottando procedimenti «assai sperimentali per la pittura italiana quali l’uso della polvere di vetro». Lo rivelano le ricerche condotte per la prima volta sui materiali di 24 tavole, due tele e due opere murali dell’artista vissuto dal 1439 circa al 1494. Gli autori sono Maria Letizia Amadori, docente di chimica per i beni culturali dell’Università urbinate (dove il progetto è nato) e il docente di fisica nell’ateneo di Bergamo Gianluca Poldi.

La Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro ha finanziato la ricerca che porta a un confronto con il pittore fiammingo Giusto di Gand presente a Urbino negli anni ’70 del XV secolo. L’imaging multispettrale, le indagini spettroscopiche e microscopiche hanno dato esiti chiari, scrivono i ricercatori: «Santi operava con i pigmenti tipici della pratica rinascimentale (bianco di piombo, giallo di piombo-stagno, di rado orpimento, ocre e terre, vermiglione, lacche rosse, blu oltremare naturale, azzurrite, in un caso indaco, verderame, malachite, nero di carbone e nero d’ossa), con alcune prerogative, quali l’uso della più rara lacca di robbia (vegetale) accanto alla più diffusa lacca rossa estratta da insetti coccidi (tipo carminio), ma anche con peculiari miscele, specie negli incarnati».

Su tutto Amadori e Poldi evidenziano «l’impiego di una grande quantità di particelle di vetro trasparente, aggiunte alla miscela di pigmento e olio siccativo, sia per dare corpo e trasparenza al pigmento sia per migliorare l’essiccazione, tecnica che Santi presumibilmente apprese da van Ghent, come hanno dimostrato le analisi sulla sua “Comunione degli Apostoli” in Palazzo Ducale, e che venne adttata anche da Raffaello». Non ultimo, l’uso «della tela spigata, più resistente, per le opere su supporto tessile, dell’olio siccativo» conferma quanto l’artista fosse aperto verso le innovazioni tecniche.

© Riproduzione riservata La Cappella Tiranni nella chiesa di San Domenico a Cagli con opere di Giovanni Santi. Foto Amadori – Poldi
Altri articoli di Stefano Miliani