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Elvetici un po’ anglosassoni

In Europa aumentano i musei (in Svizzera quelli d’arte sono solo il 20%) ma non il pubblico. Secondo Gianna A. Mina per cambiare la tendenza basta riflettere su compiti e funzioni

Mariella Rossi

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Gianna A. Mina è la prima persona proveniente da un museo della Svizzera italiana, il Museo Vincenzo Vela a Ligornetto di cui è direttrice, a rivestire la carica di presidente dell’Ams-Associazione Musei Svizzeri (oggi è al settimo mandato). Per i lettori del «Vedere in Canton Ticino» ha esaminato lo stato delle istituzioni culturali della confederazione. 

Qual è la strategia alla base della sua presidenza?
I musei membri sono 750 su oltre 1.100 musei presenti in Svizzera. Essere a capo di una fitta rete di istituzioni pubbliche e private sparse sul territorio nazionale elvetico, a partire da una periferia geografica qual è il Mendrisiotto dove si trova il museo che dirigo, mi ha resa particolarmente attenta alle necessità dei musei di media grandezza e piccoli, più lontani dalle regioni urbanizzate e più ricche. In molti casi si tratta di realtà che conservano collezioni pregevoli e degne di attenzione, nate dalla cura di comunità attente alla loro storia e alla produzione culturale contemporanea, più fragili istituzionalmente e sovente gestite da personale insufficiente o da volontari. Per loro e per tutti i soci dell’associazione, l’Ams ha ideato una collana di agili pubblicazioni che stimolano la riflessione sui compiti dei musei. Se pertanto da una parte abbiamo puntato sulla qualità delle nostre istituzioni, dall’altra ci è parso utile aprirci al resto dell’Europa, interloquendo con associazioni nazionali omologhe che, mi riferisco soprattutto all’ambito anglosassone, promuovono da tempo studi e incontri di approfondimento sulle tematiche più urgenti inerenti collezioni, pubblico e rapporto con la società, la politica e gli sponsor. A livello svizzero abbiamo partecipato a consultazioni nazionali come per esempio quella sui quadriennali Messaggi sulla cultura e quella sulla complessa, e per noi particolarmente importante, revisione della legge sui diritti d’autore, attualmente in discussione. In questo senso l’Associazione si fa portavoce del settore museale e, quando necessario, conferisce con le autorità locali o cantonali esponendo o difendendo gli interessi dei membri. Dal 2014 l’Ams beneficia di un importante sostegno finanziario dell’Ufficio Federale della Cultura, che in tal modo riconosce il nostro ruolo di interlocutore nelle questioni legate alle politiche museali nel nostro Paese.

Quali sono gli elementi di forza e di criticità dei musei svizzeri?
La varietà dei nostri musei è sorprendente e rappresenta un valore che arricchisce la cultura del nostro Paese in generale, rispecchiando le diversità culturali che lo caratterizzano sia dal punto di vista linguistico sia delle appartenenze e la necessità costante di creare dei ponti tra le stesse e con il mondo in rapidissima evoluzione. È  una diversità che condiziona anche la tipologia dei musei presenti nei diversi Cantoni, come pure la fruizione degli stessi e l’accettazione, più o meno scontata, da parte dell’opinione pubblica. Bisogna considerare che i musei d’arte, di cui nei media si parla con maggior frequenza, costituiscono solo il 20% del panorama museale, la cui maggioranza è costituita da musei di storia e cultura locale o etnografici (capillarmente distribuiti su tutto il territorio nazionale e oggetto di particolare attenzione) e da musei tematici, tecnici e storici. In Svizzera anche i musei rispecchiano il sistema politico federalista e di democrazia diretta. Pertanto le istituzioni unicamente sostenute dalla Confederazione si contano sulle dita di due mani, mentre molto più numerosi sono gli istituti, soprattutto musei d’arte, anche prestigiosi, nati per volontà di cittadini riunitisi in associazioni o circoli, che ancora oggi ne garantiscono l’esistenza dal punto di vista finanziario ancorandoli al tessuto cittadino. La maggior parte dei musei, tuttavia, è finanziata principalmente dai Comuni o dai Cantoni. I musei privati sono cresciuti molto negli ultimi anni soprattutto nell’ambito dell’arte contemporanea. A questo quadro tutto sommato positivo se ne affianca uno meno roseo.

Esiste una contraddizione di fondo: all’aumento del numero di musei in tutta Europa, con una crescente professionalizzazione al loro interno (che genera alti costi di gestione) e all’ampliamento delle aspettative da parte del pubblico e dei politici, non fa seguito un altrettanto marcato aumento di pubblico. Ciò crea delle preoccupazioni per il futuro del settore, soprattutto di ordine economico. Mi preme sottolineare che ai musei viene oggi richiesto molto più che a qualsiasi altra istituzione culturale, aspetto di cui in pochi sono consapevoli. Ci si aspetta che vengano curate, studiate e possibilmente ampliate le collezioni; che si operino ricerche, sovente lunghe e costose, sulla provenienza di opere e oggetti; che le collezioni vengano messe a disposizione di chiunque in rete, un lavoro importante ma impegnativo; che vengano organizzate a cadenza regolare delle mostre temporanee, dalle quali si chiede soprattutto un’alta frequentazione di pubblico, piuttosto che un aumento di conoscenza. Le esposizioni temporanee diventano sempre più onerose a causa degli alti costi di trasporto e assicurazione, come pure delle traduzioni nelle varie lingue nazionali. Al museo si chiede inoltre che venga attuato un programma di mediazione culturale aggiornato e attento a ogni genere di pubblico; che promuova e renda possibile la pratica museologica alle nuove generazioni facilitando stage di qualità e collaborazioni con le facoltà universitarie preposte. Molti altri sono gli ambiti in cui il museo può e deve manifestarsi. Ad esempio come tassello, accessibile a chiunque lo desideri, all’interno del dibattito sul ruolo che le collezioni raccolte nel passato, materiali o immateriali, possono avere oggi in quanto luoghi privilegiati ove incoraggiare nuove storiografie e gettare le basi per un dialogo più aperto con il nostro tempo e soprattutto con chi proviene da contesti molto lontani. Riuscire ad assolvere tutti questi compiti richiede sforzi notevolissimi e soprattutto risorse finanziarie che la crisi dei recenti anni ha eroso. Per usare una parola alla moda si tratta di una vera sfida, che rende il nostro compito non solo complesso ma anche appassionante.

Qual è la situazione nelle vallate periferiche dove sono sparse strutture di dimensioni ridotte?
Un forte desiderio di conservare l’autonomia nella gestione del proprio istituto, forti del sostegno del pubblico di riferimento, spesso locale. Accanto alle valli e alle zone discoste vi sono le città dove hanno sede i musei più grandi per dimensione, impatto e risorse finanziarie: al loro know-how attingiamo secondo il principio della solidarietà tra le istituzioni durante la stesura delle pubblicazioni sulle buone pratiche museali e nell’ambito di un servizio di consulenza offerto dal segretariato dell’Ams. Incontro molti curatori e direttori, anche giovani, consapevoli delle conseguenze che le loro scelte di oggi avranno sullo sviluppo futuro del loro istituto. È proprio a questo tema che l’Ams ha dedicato il convegno annuale di quest’anno intitolato «Il museo e i suoi futuri, la scelta spetta a noi» (www.museums.ch/it/pubblicazioni/standard/museumszkünfte.ml).


Come direttrice del Museo Vincenzo Vela è sempre stata molto sensibile al coinvolgimento del pubblico: come si traduce questa attitudine in seno all’Ams?


Devo precisare che l’attenzione per vari generi di pubblico e per forme innovative di un loro coinvolgimento nella vita del museo ha una storia decennale a nord delle Alpi. Molti musei hanno da tempo incluso nell’organico collaboratrici e collaboratori specializzati nella mediazione culturale. È stato soprattutto il Ticino a dover recuperare in questo ambito e l’ha fatto in modo egregio. Mi preme tuttavia sottolineare che il coinvolgimento del pubblico non può più avvenire soltanto in forma passiva, quale ricevente, ma che si rende necessaria un’autentica partecipazione («Partizipation» è un termine entrato a pieno titolo nel dibattito museologico germanofono), intesa come scambio paritetico. È chiaro che ciò non si può sempre attuare, ma è utile riflettere sulle situazioni in cui un ripensamento di questo genere è auspicabile o addirittura doveroso. La cosiddetta «emergenza» che l’Europa sta vivendo nell’ambito della migrazione e dei rifugiati, alla quale i musei in quanto tali non possono esimersi dal prestare attenzione, costituisce a mio avviso un ideale laboratorio nel quale progettare nuove forme di partecipazione che permettano forme di dialogo e soprattutto di conoscenza reciproca, che arricchiranno indubbiamente anche le istituzioni stesse. Di questo l’Ams si fa portavoce e di questo si è molto parlato durante i workshop proposti al recente convegno annuale di fine agosto. Ho osservato con piacere che soprattutto istituzioni meno dotate finanziariamente si avvalgono del coinvolgimento attivo del loro pubblico per costruire mostre, allestimenti permanenti o per dialogare con i cittadini. 


Che cosa si augura per il futuro?


Il numero sempre crescente di partecipanti ai nostri corsi per nuovi membri e ai nostri convegni annuali (340 colleghe e colleghi vi hanno partecipato quest’anno per due intense giornate) sono delle testimonianze di fiducia e un segnale di vivacità del nostro settore. Mi auguro che, anche in futuro, a questa vivacità risponda il sostegno da parte delle autorità e della politica.

Mariella Rossi, 03 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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