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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliIl Musée Juif de Belgique aveva chiuso le porte dopo l’attacco jihadista del maggio 2014 di Mehdi Nemmouch, un francese di origini algerine radicalizzato durante la detenzione in carcere, costato la vita a quattro persone. Dopo due anni di lavori di ristrutturazione, il museo del quartiere storico del Sablon ha riaperto lo scorso ottobre, con un nuovo allestimento e una nuova sezione dedicata a ebrei e musulmani, singolarità e similitudini.
Il museo avrebbe potuto chiudersi su se stesso e sulla sua storia, ma la scelta dei conservatori è stata un’altra. Ha parlato di integrazione anche la mostra inaugurale, «Bruxelles terre d’accueil?» (fino a marzo scorso; nella foto), raccontando la capitale belga come «città mondo», terra di immigrazione dal 1830 e dove oggi vivono insieme più di 180 diverse nazionalità. È stata anche data la parola a 16 «migranti di oggi», tra i 15 e i 75 anni, di confessioni diverse, arrivati in Belgio da Sudan, Congo, Siria, ma anche Cina e Brasile.
«Come per noi ebrei, vivono in Belgio persone di culture diverse che hanno dovuto affrontare le stesse difficoltà per integrarsi. Esistono molti punti in comune tra ebrei, cristiani e musulmani. Comprenderci meglio migliora il rispetto reciproco», ha dichiarato il presidente del museo, Philippe Blondin. Il museo ha anche avviato delle collaborazioni con le scuole musulmane cittadine, organizzando visite per gli studenti. Ed è nato il progetto «Cultures en partage» portato avanti con il liceo di Saint-Josse-ten-Noode, un Comune povero e multiculturale di Bruxelles, con una serie di eventi sul tema del dialogo interculturale e una mostra fotografica su ebrei e musulmani del Marocco. Da diversi anni la città di Bruxelles ha messo in cantiere l’apertura di un museo dell’immigrazione che però non riesce ancora a concretizzarsi.

Musée Juif de Belgique. Foto Maxime Collin
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