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Due sorelle che non vogliono restare zitelle

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Franco Fanelli

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È difficile dire chi dei due avrà il compito più difficile: se Angela Vettese, alla guida di ArteFiera a Bologna, o Mauro Stefanini, neopresidente dell’Associazione Nazionale Gallerie d’arte moderna e contemporanea. Quest’ultima storicamente si identifica con la rassegna bolognese, in virtù di un comune ecumenismo espressivo, esteso dal ’900 storicizzato all’attualità. Ma l’Associazione, in questi anni, ha perso molti aderenti e soprattutto non attrae le gallerie impegnate nell’arte più attuale; per cui la «c» finale dell’acronimo Angamc ha sempre meno senso, e non bastano nomi come Giò Marconi (vicepresidente),  Raffaella Cortese e pochi altri per bilanciare lo squilibrio. Qualche fuoriuscito, del resto, motiva le sue dimissioni col fatto che  l’attività dell’Associazione sia sbilanciata verso gli interessi dei «modernisti». Nel frattempo, anche ArteFiera è cambiata: nel tentativo di parare i colpi della concorrenza (Artissima, Miart e ArtVerona) ha cercato negli ultimi anni di rafforzare la sua identità «generalista» e «campionaria».

Ma intanto, aumentando il numero degli stand e allentando il controllo sulla qualità, ha perso per strada gallerie importanti, che ora le preferiscono Torino o Milano, a loro volta in concorrenza sempre più accesa. Il risultato è che, oggi come oggi, sia l’Angamc sia ArteFiera sono due organismi accomunati da una profonda crisi. Le battaglie storiche dell’Angamc (l’Iva «europeizzata», qualche correttivo sui vincoli alla circolazione dei beni, la stessa corretta applicazione del droit de suite, argomento che pure dovrebbe essere caro alle gallerie giovani) non hanno sinora fatto concretamente breccia nel muro dei vari ministeri delle Finanze o nella «distrazione» dei tanti Ministri per i Beni culturali.

L’uscita di scena di Anna Maria Gambuzzi, succeduta a Massimo Di Carlo, ha lasciato un vuoto che nessuno tra i pezzi da novanta dell’Associazione (tra gli altri, Alfonso Artiaco, Gianfranco Benedetti, Massimo De Carlo, Tucci Russo) né tra i più giovani contemporaneisti che ancora ne fanno parte, si è sentito di colmare. Significativamente, una delle più feroci crisi che ha colpito le gallerie italiane non ha incoraggiato l’associazionismo bensì l’emigrazione per chi se l’è potuta permettere o ha cronicizzato quell’individualismo che non ha mai fatto difetto agli operatori nostrani. Di fatto, così com’è oggi, l’Angamc ha perso la sua già scarsa forza nei confronti delle sue controparti, il Governo in casa e i colleghi stranieri sul fronte internazionale, l’unico che ormai, imperando le fiere, conti davvero. ArteFiera, la più «antica» mostra-mercato d’arte moderna e contemporanea in Italia, proprio sulla sua italianità, negli anni passati, ha costruito i suoi successi. Ma oggi, dopo la direzione Spadoni-Verzotti, è una fiera al bivio: senza una profonda rifondazione, rischia la definitiva emarginazione.

L’Ente fieristico bolognese nel momento del cambiamento, secondo i bene informati, avrebbe pensato a una rosa di papabili costituita da tre figure di diversa identità curatoriale. Oltre alla Vettese, ne avrebbero fatto parte un possibile direttore-curatore quarantenne, sul modello di Artissima, Miart e ArtVerona, uno come Francesco Stocchi, che però non avrebbe voluto lasciare il ruolo di curatore al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Il nome a effetto sarebbe stato quello di Francesco Bonami, ma è consulente della casa d’aste Phillips e la sua nomina avrebbe determinato uno sgradevole conflitto d’interessi. Angela Vettese, a 56 anni, ha accettato la sfida. Non ha esperienze «sul campo» nel mercato ma conosce i meccanismi del collezionismo; ha avuto un’esperienza politica, sia pur breve, come assessore a Venezia, e chissà se quel ruolo non l’abbia smaliziata negli inevitabili giochi diplomatici che retrostanno anche a una mostramercato.

Alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia ha rilevato un’istituzione ridotta alla quasi invisibilità e l’ha letteralmente «ribaltata» e rilanciata. Prende, con una buona dose di coraggio, la guida di una fiera in crisi di qualità e forse di identità, che ha perso alcuni collezionisti e molte gallerie importanti ma non (non ancora) il consenso «popolare» dei suoi visitatori.  La neodirettrice, una contemporaneista non certo a digiuno di storia, sa bene che il pubblico sempre più numeroso dell’arte contemporanea sta rapidamente raffinando il suo gusto: deluderlo perdendo altro tempo con una fiera che oggi è troppo vasta per poter garantire appeal e qualità vorrebbe dire sperperare l’ultima risorsa della quarantennale manifestazione. Nominata non senza lo scetticismo di alcuni galleristi, non ha le caratteristiche dei suoi più giovani omologhi: né la specificità di Sarah Cosulich Canarutto, né il savoir faire di Vincenzo de Bellis (in attesa dell’operato del suo successore alla Miart, Marco Rabottini), cresciuto nell’era in cui il critico è stato soppiantato dal curatore, figura meno «colta» e accademica ma più complessa. Entrambi si sono affermati in un periodo in cui il sistema del contemporaneo ha subito una fortissima accelerazione e un’analoga trasformazione. In tal senso, i dieci-quindici anni che separano la nuova direttrice dai due citati sono molti di più rispetto a quanto non dica l’anagrafe.

Dalla sua, Angela Vettese non solo ha conservato contatti con la «upper class» del mondo galleristico e artistico, ma ha anche la vocazione della divulgatrice, prima fra i tanti (e poi troppi) ad aprire anche ai profani con un linguaggio comprensibile il sacello del contemporaneo, come giornalista e come saggista: un talento che potrebbe essere utile alla guida della più popolare tra le nostre fiere. Come docente allo Iuav di Venezia, infine, ha avuto modo di formare qualche centinaio di studenti. I più dotati dei suoi laureati potrebbero essere una valida risorsa al suo fianco: la verifica su quanto sia efficace nella realtà ciò che è stato insegnato ex cathedra sarebbe un modo ancora più coraggioso di metterci la faccia.

Franco Fanelli, 14 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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